Oblio in rete: il trascorrere del tempo può non essere sufficiente.

Con il Provvedimento n. 277 del 15 giugno 2017, il Garante per la protezione dei dati personali è nuovamente intervenuto in materia di diritto all’oblio, affermando che, sebbene il trascorrere del tempo sia un fattore fondamentale per il legittimo esercizio di questo, esso può incontrare un limite quando le informazioni in relazioni alle quali tale diritto viene invocato risultino connesse ad un particolare ruolo svolto dall’interessato nella vita pubblica.

IL FATTO:

La questione è stata portata all’attenzione del Garante per la privacy da un alto funzionario pubblico, coinvolto in una vicenda giudiziaria piuttosto risalente nel tempo all’esito della quale era stato condannato – seppur con il beneficio della sospensione condizionale della pena – il quale chiedeva a Google la deindicizzazione di una serie di url legati ad alcuni articoli relativi alla succitata vicenda, che apparivamo tra i risultati digitando gli estremi del ricorrente sul noto motore di ricerca, poiché questi arrecavano grave danno alla sua reputazione.

A sostegno della propria posizione, il ricorrente sosteneva da un lato che la vicenda dovesse oramai ritenersi non aggiornata e comunque risalente nel tempo, essendo trascorsi circa sedici anni dal fatto, e dall’altro che oltre all’estinzione del reato ex art. 167 c.p. derivante dall’applicazione della sospensione condizionale della pena, con la sentenza di condanna gli era stato concesso l’ulteriore beneficio della non menzione nel casellario giudiziale e che, inoltre, con ordinanza del Tribunale di Roma del 14 novembre 2013, era stata altresì disposta a suo favore la riabilitazione ai sensi dell’art. 178 c.p., in virtù della quale il ricorrente risulta esente “da qualsiasi pregiudizio penale, giacché con essa si estingue ogni effetto della condanna”.

Dichiarando parzialmente infondato il ricorso del funzionario, il Garante per la protezione dei dati personali ha stabilito, anche sulla base delle Linee Guida adottate il 26 novembre 2014 dal Gruppo di lavoro “Articolo 29” (WP 225), che – inserendo la maggior parte degli URL contestati la notizia della vicenda giudiziaria “in un contesto informativo più ampio, all’interno del quale sono fornite anche ulteriori informazioni legate ad altri aspetti della vita professionale dell’interessato” – risulta ancora persistere l’interesse pubblico alla conoscibilità di tali notizie, “anche in ragione del ruolo nella vita pubblica dal ricorrente, che ricopre incarichi istituzionali di alto livello”.

Al contrario, considerato il tempo trascorso e l’intervenuta riabilitazione, il Garante riconosce fondato il ricorso limitatamente all’unico URL citato dal ricorrente che aveva effettivamente ad oggetto la notizia della condanna penale a questo inflitta.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

L’Autorità, accogliendo i principi stabiliti dai garanti europei a seguito della ben nota sentenza C-131/12 della Corte di Giustizia Europea, c.d. Google Spain, fa dunque presente che, sebbene il trascorrere del tempo costituisca la componente essenziale del diritto all’oblio, il semplice fattore cronologico debba trovare un limite nel caso in cui possa sussistere un interesse alla reperibilità delle informazioni di cui si chiede la deindicizzazione, ad esempio in virtù della posizione ricoperta dall’individuo oggetto della notizia nella vita pubblica, con la conseguenza che, in casi simili, le richieste formulate dai ricorrenti dovranno essere valutate con minor favore.

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