In tema di successioni transfrontaliere, il Regolamento 4 luglio 2012, n. 650, recepito dall’ordinamento italiano dallo scorso settembre 2015, ha colmato un rilevante vuoto normativo che ha costretto, sino ad ora, i cittadini dell’Unione europea residenti in un Paese diverso da quello di origine o che disponessero di beni in un Paese diverso da quello di residenza a districarsi in un coacervo di norme non conosciute, per disporre del proprio patrimonio dopo la loro morte.
IL FATTO:
La disciplina intende garantire la certezza del diritto e la prevedibilità della sorte ereditaria a vantaggio sia del de cuius che degli eredi (ma anche di soggetti terzi quali possono essere, ad esempio, i creditori del defunto). La novella tende all’incentivazione della libera circolazione delle persone, altrimenti ostacolata dalla diversità delle norme di diritto sostanziale e delle norme che regolano la competenza giurisdizionale o la legge applicabile, dalla molteplicità delle autorità che possono essere adite nell’ambito di una successione internazionale e dalla frammentazione delle successioni, con il conseguente divergere dell’applicazione delle norme. In termini concreti, si è scelto un regime unitario, individuando come regola generale, sia del titolo di giurisdizione che del criterio di collegamento della legge applicabile, la residenza abituale del defunto al momento del decesso. Il regolamento approvato estende la sua applicazione a tutti gli aspetti di diritto civile della successione a causa di morte e questa definizione volutamente molto ampia è tale da ricomprendervi qualsiasi modalità di trasferimento di beni, diritti e obbligazioni a causa di morte, che si tratti di un atto volontario per disposizione a causa di morte ovvero di un trasferimento per effetto di successione legittima.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
Sotto il profilo prettamente pratico, la previsione legislativa indica, come indicato, un criterio unico per determinare nel contempo la legge applicabile alla successione e la competenza giurisdizionale, tale criterio fa riferimento alla residenza abituale del de cuius al momento del decesso; il criterio coincide solitamente con il luogo ove si trova la maggior parte dei beni del defunto al momento dell’apertura della successione. Valga notare, in termini applicativi, che il suindicato criterio è stato preferito a quello della cittadinanza in quanto ritenuto coincidente con il centro di interessi del de cuius e, inoltre, più favorevole alla integrazione sociale nello Stato di residenza, evitando, per l’effetto, qualsiasi discriminazione nei confronti di coloro che risiedono nello stesso Stato avendone la cittadinanza. Infine, è opportuno chiarire che resta, comunque, salva la possibilità di sottoporre l’intera successione alla legge dello Stato in cui il disponente abbia la cittadinanza al momento della scelta, ma tale scelta deve essere effettuata in modo espresso a mezzo di dichiarazione resa nella forma di una disposizione a causa morte o risultare dalle clausole di tale disposizione. L’atto in esame può essere il testamento, ma anche un contratto o accordo successorio, determinandosi, in tal modo, una rilevante questione giuridica in termini di validità dei detti patti in deroga, eventualmente, al divieto dei patti successori ex art. 458 c.c.. Nell’ipotesi in cui il defunto abbia optato per una legge di uno Stato membro per regolare la sua successione, le parti interessate possono convenire che un organo giurisdizionale o gli organi giurisdizionali di tale Stato membro abbiano competenza esclusiva a decidere su qualsiasi questione legata alla successione. Anche l’accordo relativo alla scelta del foro deve essere concluso per iscritto, datato e firmato dalle parti interessate.
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