Con sentenza 19 ottobre 2016 n. 21066, la Corte di Cassazione si pronuncia in tema di responsabilità dei soci di società in nome collettivo, sancendo che nei rapporti interni tra soci non trova applicazione il principio della responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte dalla società.
IL FATTO:
La pronuncia in esame pone termine alla causa promossa da uno dei due soci di una società in nome collettivo avverso la società stessa, al fine di ottenere il pagamento di quanto a lui dovuto per la locazione alla società di un immobile in comproprietà dei due soci.
Nei primi due gradi di giudizio il socio attore aveva ottenuto sentenza pienamente favorevole: il Tribunale aveva emesso decreto ingiuntivo sia contro la società sia contro l’altro socio (quale socio illimitatamente responsabile della società), e la legittimità di tale decisione era stata confermata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello.
La Cassazione, invece, accogliendo parzialmente il ricorso del socio soccombente, censurava il capo della sentenza che riconosceva la responsabilità personale del socio, ricorrente in cassazione, per l’obbligazione sociale in questione. Ricorrendo in Cassazione, infatti, il socio condannato sosteneva, tra l’altro, che, essendo l’immobile in proprietà comune, in quote uguali, tra i due soci, anche il socio che aveva agito in giudizio dovrebbe essere, a sua volta, debitore nei suoi confronti e le due obbligazioni dovrebbero pertanto “annullarsi” a vicenda.
Accogliendo le doglianze del socio condannato al pagamento, i Giudici di legittimità chiariscono che il principio della responsabilità solidale illimitata dei soci per le obbligazioni assunte dalla società, sancito dall’art. 2291 c.c, trova applicazione solamente nei rapporti con i terzi. Tale impostazione risulta in linea con la ratio stessa della disposizione sopracitata, da individuarsi nella necessità di tutelare gli interessi dei terzi entrati in contatto con la società.
La legge riconosce alle società di persone una mera soggettività, e non una personalità giuridica perfetta, che si traduce, sul piano della responsabilità, in un’autonomia patrimoniale limitata: ciò significa che i terzi, creditori della società, possono trovare soddisfazione oltre che sul patrimonio della società, per loro difficilmente valutabile, anche su (tutto) il patrimonio personale dei singoli soci. E ciò, afferma la Cassazione, “all’evidente scopo di agevolare l’attività dell’ente”.
Esclusa l’applicabilità del principio della responsabilità illimitata, nei rapporti tra soci rimane da “tenersi conto dei reciproci obblighi di proporzionale contribuzione per gli oneri sociali”.
Da ciò consegue che “l’estensione agli altri soci dell’azione promossa dal socio creditore contro la società è configurabile solo qualora sussista un effettivo squilibrio tra i soci stessi nei reciproci obblighi di contribuzione per il pagamento dei debiti sociali”.
Si sottolinea come la Cassazione si fosse, in passato, già più volte pronunciata in tal senso, seppur in riferimento alle associazioni non riconosciute e agli enti non dotati di personalità giuridica, con i quali le s.n.c. condividono la “struttura associativa non personificata”.
Tale impostazione decisionale, punto fermo nella giurisprudenza di legittimità, appare inoltre coerente con quanto disposto dall’art. 1299 c.c. in tema di regresso fra condebitori. Ai sensi di tale disposizione, il debitore solidale che ha estinto per intero il debito comune può pretendere dagli altri condebitori solamente la loro quota.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La sentenza in esame risulta particolarmente rilevante poiché, con la stessa, la Suprema Corte delinea l’ambito di applicazione di uno dei principi cardine delle società di persone: la responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sociali. In particolare, essendo tale principio dettato da ragioni di tutela dei terzi, è da escludersi che debba trovare applicazione anche nei rapporti interni tra i soci.
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