Separazione dei coniugi: ostacolo insormontabile al diritto di abitazione.

Con ordinanza n. 15277 del 5 giugno 2019, la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale presupposto oggettivo per l’attribuzione dei diritti di abitazione e d’uso al coniuge superstite e separato è l’effettiva individuazione, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita a residenza familiare. In assenza di tale requisito, lo stato di separazione personale dei coniugi costituisce un ostacolo insormontabile al riconoscimento di tali diritti.

IL FATTO:

Con ordinanza n. 15277 del 5 giugno 2019, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito alla riserva, in favore del coniuge superstite e separato, dei diritti di abitazione e d’uso sulla casa adibita a residenza familiare.

Con decisione fortemente avversata in dottrina, infatti, la Suprema Corte ha dato continuità all’orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13407; Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2014, n. 22456), secondo il quale, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti di abitazione e d’uso dell’immobile.

La giurisprudenza di legittimità, quindi, condiziona il riconoscimento di tali diritti, sanciti dall’art. 540, comma 2, c.c. all’“effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita a residenza familiare”; condizione, quest’ultima, che evidentemente non sussiste “allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.

Con tale pronuncia, pertanto, la Suprema Corte ha posto un chiaro limite all’equiparazione, prevista dall’art. 548 c.c. in tema di diritti successori, tra le figure del coniuge non separato e del coniuge separato senza addebito, richiedendo a quest’ultimo un quid pluris ai fini del riconoscimento dei diritti di abitazione e d’uso.

Tale interpretazione giurisprudenziale trova tuttavia giustificazione nella ratio ispiratrice della norma di cui all’art. 540 c.c., vale a dire nell’interesse morale di preservare la sfera dei rapporti affettivi del coniuge superstite, nonché di conservare la memoria del coniuge scomparso e di garantire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Pertanto, qualora al momento della morte del de cuius la convivenza sia cessata e, conseguentemente, sia venuto meno ogni legame tra l’immobile e il concetto di casa familiare, ne deriva la ragionevole esclusione dal diritto di abitazione del coniuge superstite, separato senza addebito, sussistendo un mero interesse economico di quest’ultimo e non anche un interesse morale.

Al momento dell’apertura della successione, dunque, la convivenza tra i coniugi, anche se separati, così come l’effettiva sussistenza di un legame tra l’immobile e lo svolgimento della vita familiare, risultano essere presupposti indefettibili ai fini dell’attribuzione di tali diritti.

Nella realtà, simile evenienze si realizzeranno allorché i coniugi separati decidano comunque di coabitare nella casa familiare (c.d. “separati in casa”) oppure qualora il coniuge superstite, in presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, sia risultato assegnatario della casa familiare ex art. 337-sexies c.c.

PERCHÈ È IMPORTANTE:

Con la pronuncia n. 15277/2019, la Corte di Cassazione ha affermato l’imprescindibilità dell’esistenza di una casa adibita a residenza familiare ai fini dell’attribuzione al coniuge, superstite e separato, del diritto di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano.

Con tale pronuncia, dunque, la Suprema Corte, ponendo particolare attenzione alla ratio sottesa all’art. 540 c.c., ha realizzato una limitazione dei diritti successori spettanti al coniuge separato senza addebito.

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