Riservatezza: prevale il diritto di cronaca

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Con la sentenza n. 13151 depositata il 25 maggio 2017, la Corte di Cassazione prende posizione in tema di diritto alla riservatezza sancendo, in particolare, che, nei limiti del diritto di cronaca, i dati personali possono essere trattati e diffusi a prescindere dal consenso dell’interessato.

IL FATTO:

La vicenda sulla quale la Corte di Cassazione si è pronunciata nasceva dall’azione promossa dal comandante del corpo dei vigili del fuoco contro una casa editrice, la quale aveva pubblicato, parola per parola, alcuni frammenti di una sua telefonata effettuata dal posto di lavoro, che era stata illegittimamente registrata.

Successivamente, inoltre, erano stati pubblicati alcuni articoli giornalistici concernenti la vicenda pubblica oggetto della conversazione telefonica ed il file audio della telefonata era stato reso accessibile in internet.

L’attore sosteneva che la condotta tenuta dalla casa editrice costituisse, oltre che diffamazione (a mezzo stampa), anche una grave lesione del diritto alla riservatezza dei suoi dati personali e sensibili.

Nei primi due gradi di giudizio, Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato la domanda risarcitoria avanzata, affermando la prevalenza dell’interesse pubblico all’informazione sulla tutela dei dati personali.

Tali sentenze, si sottolinea, erano state emesse in contrasto con il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali dell’8 febbraio 2007, il quale, interrogato sulla questione, aveva rilevato che la raccolta e la successiva divulgazione dei dati personali erano state effettuate in violazione di legge e, pertanto, ne aveva inibito l’ulteriore diffusione. La Corte d’appello, tuttavia, aveva rilevato che il suddetto provvedimento non vincolava il giudice ordinario. Peraltro, come riconosciuto dagli ermellini, il ricorrente aveva agito in giudizio, non tramite impugnazione del provvedimento del Garante della Privacy, ma separatamente, con rito ordinario, per il risarcimento dei danni subiti.

La Suprema Corte, dunque, ha confermato la sentenza di secondo grado, sancendo la correttezza del giudizio di bilanciamento operato dalla Corte d’appello.

È orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, infatti, quello secondo cui l’attività giornalistica, nel rispetto del codice deontologico (provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179), comporti la libertà nel trattamento dei dati. Tale principio di libertà è conseguenza della preminenza del diritto all’informazione su fatti di pubblico interesse sul diritto alla riservatezza. Tuttavia, devono essere osservati i limiti del diritto di cronaca ed, in particolare, l’essenzialità dell’informazione.

Laddove non sia rispettato il codice deontologico, invece, il consenso dell’interessato diventa condizione necessaria affinché la pubblicazione della notizia sia lecita.

Tale orientamento, peraltro, afferma la Cassazione, appare pienamente conforme anche al d.lgs. n. 196 del 2003 (Codice della Privacy), che disciplina, in modo completo ed esaustivo, il diritto alla riservatezza ed il trattamento dei dati personali.

Detto Codice, infatti, agli articoli 136 e 137, disciplina espressamente il trattamento dei dati per finalità giornalistiche, sancendo, in particolare, che il giornalista, nell’esercizio della propria attività professionale, può prescindere dalla prestazione, da parte dell’interessato (oggetto dell’articolo o della pubblicazione), del consenso al trattamento dei propri dati personali e sensibili.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

La sentenza in esame appare di notevole interesse, in quanto, con la stessa la Corte di Cassazione prende posizione sul delicato bilanciamento tra il personale diritto alla riservatezza ed il diritto diffuso all’informazione su fatti pubblici.

I giudici di legittimità, in particolare, confermando un orientamento ormai consolidato, nonostante la contraria posizione del Garante della Privacy, hanno affermato che, stante l’attuale sistema normativo, il giornalista può diffondere e pubblicare dati personali anche in assenza del consenso degli interessati, purchè svolga la sua attività nel rispetto delle norme deontologiche, e nei limiti del diritto di cronaca.

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