Responsabilità dei sindaci: chi agisce ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità dei componenti del collegio sindacale, per omesso controllo o per condotta inerte a fronte dei comportamenti illeciti dell’organo amministrativo della società di capitali, colui che propone l’azione ha l’onere di provare gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall’art. 2407 c.c.

L’attore dovrà quindi fornire la prova del nesso di causalità tra la l’omessa vigilanza e la causa del danno, che può ritenersi sussistente qualora il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno.

IL FATTO

Con la sentenza n. 28357 dell’11 dicembre 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito la questione relativa all’onere della prova del nesso di causalità necessario per poter configurare la responsabilità dei sindaci, in rapporto ai fatti illeciti consumati dagli amministratori.

La vicenda traeva origine dall’azione di responsabilità proposta ex art. 146 legge fall. dalla curatela del fallimento di una società cooperativa nei confronti di un componente del collegio sindacale, in relazione al mancato rinvenimento ed all’ignota destinazione di una somma incassata dal liquidatore in forza di un accordo transattivo.

In primo grado, il Tribunale adito accoglieva la domanda del curatore, e la statuizione veniva confermata dalla Corte d’Appello, che ribadiva come fosse stata accertata, senza avverse censure, la responsabilità del liquidatore in relazione alla mancata consegna delle scritture contabili all’ufficio fallimentare, e come fosse rimasta ignota la destinazione delle somme incassate dal liquidatore anteriori alla cessazione della carica del sindaco. Ai sensi dell’art. 2407 cod. civ. la corte territoriale riteneva quindi sussistente la responsabilità del sindaco, cui veniva imputato di non aver operato il necessario controllo finalizzato ad assicurare l’effettiva acquisizione della somma al patrimonio sociale e la destinazione ai fini liquidatori della stessa.

Il sindaco proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando in particolare come il Giudice d’appello avesse erroneamente ritenuto la sua responsabilità, quale conseguenza dell’impossibilità del curatore di verificare l’impiego della somma incassata (stante la mancata consegna a lui delle scritture contabili), quando invece le somme erano state incassate in epoca prossima alle dimissioni del ricorrente dalla carica sindacale, e quando invece il fallimento, cui associare l’obbligo di consegna delle scritture, era sopravvenuto solo successivamente.

Il ricorrente ascriveva inoltre alla Corte territoriale di aver comunque erroneamente ritenuto che la mancanza delle scritture contabili fosse in rapporto eziologico con l’impossibilità del curatore di acquisire aliunde la documentazione relativa all’impiego delle somme riscosse, e trasformato l’inadempimento del curatore al citato dovere di acquisizione nel fatto costitutivo della responsabilità del sindaco, dimessosi circa tre anni prima del fallimento.

Investita della questione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenuta la motivazione della sentenza impugnata lacunosa sul versante della ricostruzione del nesso di causalità, oltre che intrinsecamente irrazionale a fronte degli enunciati in fatto.

La Cassazione ha rammentato che il sistema di diritto societario configura in capo ai sindaci, ai sensi dell’art. 2407 cod. civ., una responsabilità per fatto proprio omissivo, da correlarsi alla condotta degli amministratori. I doveri di controllo imposti ai sindaci si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali. Di talchè, ad affermarne la responsabilità, può ben esser sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza. Questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori, pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni.

Tuttavia, la fattispecie dell’art. 2407 cod. civ. richiede la prova, da parte di chi agisce in responsabilità, di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità, ovvero: (i) dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, ove l’attivazione del controllo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato il danno.

PERCHÉ È IMPORTANTE

La sentenza esaminata, oltre a richiamare i principi di diritto utili a delineare i confini della responsabilità per fatto proprio omissivo dei sindaci correlata alla condotta degli amministratori, ha fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori nel giudizio di responsabilità, evidenziando che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato.

Per non perderti le novità e gli approfondimenti di Tonucci & Partners, iscriviti alle nostre newsletter

    Dichiaro di aver letto e compreso la Privacy Policy