L’utilizzo del trojan alla luce della conversione del Decreto Legge 30 dicembre 2019, n. 161 in materia di intercettazioni.

Il 28 febbraio 2020 è stata approvata in via definitiva la Legge n. 7 di conversione del Decreto Legge 30 dicembre 2019, n. 161 recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

IL FATTO:

All’art. 1 della Legge 28 febbraio 2020, n.7 è stabilito che l’entrata in vigore delle nuove disposizioni e di quelle che erano già state introdotte dal Decreto Legislativo 29 dicembre 2017, n. 216 (c.d. “Riforma Orlando”), in tema di intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni, viene prorogata al 1° maggio 2020, ponendo, così, uno spartiacque tra i procedimenti relativi a notizie di reato iscritte dopo il 30 aprile 2020, ai quali si applicheranno le nuove regole, e quelli anteriori a detta data, che rimarranno disciplinati dalla precedente normativa.

Tra le diverse modifiche apportate al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, rilevano in particolare le novità introdotte in tema di intercettazioni ambientali mediante l’uso di trojan, ovvero di quei software installati su dispositivi portatili per captare conversazioni, immagini o messaggi.

La materia, prima dell’intervento normativo in esame, era stata regolata dalla Riforma Orlando, con la quale era stato modificato l’art. 266 c.p.p. che prevede, in tutti i casi in cui sono consentite le intercettazioni di comunicazioni tra privati, l’istallazione di un captatore informatico su dispositivi portatili. Tuttavia, quando le comunicazioni avvengono in un domicilio privato, l’intercettazione è ammessa solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo un’attività criminosa, a meno che non si proceda per uno dei delitti più gravi, di cui all’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.

Il catalogo dei reati per i quali è ammesso il ricorso all’uso dei trojan a prescindere dai presupposti indicati al secondo comma dell’art. 266 c.p.p. era stato, in seguito, modificato dalla Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. Legge “Spazza corrotti”) la quale aveva inserito i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Con l’intervento più recente, si compie, infine, un ulteriore passo verso l’assimilabilità fra i reati di grave allarme sociale e i delitti contro la pubblica amministrazione sotto il profilo del regime delle intercettazioni mediante trojan poiché si rinviene al comma 2 bis dell’art. 266 c.p.p. il riferimento ai reati commessi dagli incaricati di un pubblico servizio.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

Il provvedimento in esame risulta di particolare interesse poiché rappresenta un’ulteriore invasione da parte del legislatore nella sfera privata, con l’estensione del campo di applicazione della disciplina sulle intercettazioni ambientali eseguite, per mezzo di uno strumento altamente subdolo come il trojan, nell’ambito dei reati per i quali si prescinde dall’attualità di un’attività criminosa. L’unico presidio a tutela della riservatezza delle conversazioni resta la previsione secondo cui il decreto che autorizza l’intercettazione debba indicare le ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nel privato domicilio, ma è noto come nella prassi tali motivazioni si riducono a formulazioni di stile che di fatto rendono la captazione lo strumento oramai prescelto per svolgere indagini, con la trasformazione di un mezzo di ricerca della prova, quale l’intercettazione, in prova regina del processo, in spregio ai diritti fondamentali dell’individuo.

Peraltro, la Corte di Cassazione con la recente Sentenza S.U. 51/2020 aveva circoscritto in senso garantista l’uso delle intercettazioni, nell’ambito del procedimento per il quale erano state autorizzate, alla sola prova dei reati connessi ex art. 12 c.p.p. e non anche per quelli semplicemente collegati.

Il legislatore, anche sotto tale profilo, modificando il comma 1 bis dell’art. 270 c.p.p., introdotto dalla Riforma Orlando, ha esteso l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni compiute con i captatori informatici “per la prova dei reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’art. 266, comma 2 bis, c.p.p.”, in evidente contrasto con la pronuncia della Suprema Corte.

Nel tentativo di bilanciare il diritto alla segretezza delle comunicazioni con l’interesse alla repressione dei più gravi reati sono in atto da parte del legislatore scelte di politica criminale che vanno a privilegiare unicamente la repressione senza alcuna considerazione dei diritti fondamentali dell’individuo. Il profilo dell’indispensabilità della prova assurge a dogma e così l’intercettazione diviene utilizzabile anche se si riferisce ad un reato diverso rispetto a quello per cui era stato emesso il provvedimento autorizzativo del giudice.  Se prima facie la valutazione del legislatore può apparire utile ai fini investigativi, è però evidente – e lo si comprende solo quando si diviene oggetto dell’attenzione delle attività inquirenti – che si attribuisce un potere smisurato agli organi inquirenti, con la possibilità di essere esposti ad attenzioni negli aspetti più intimi della vita privata senza alcuna possibilità di reale difesa, con una compressione probabilmente intollerabile dei diritti fondamentali per una democrazia che si vuole definire ancora liberale.

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