L’esercizio in comune dell’attività d’impresa da parte dei coniugi.

Tra i coniugi in comunione dei beni può costituirsi una società di persone al cui patrimonio appartengono i beni conferiti in società dai coniugi-soci.

IL FATTO:

La vicenda decisa dalla Cassazione con ordinanza n. 8222/2020 ha origine dall’azione promossa da un coniuge per il riconoscimento della titolarità pro quota dei beni facenti parte della comunione legale, confluiti poi nella società costituita dai coniugi stessi.

Secondo il giudice di prime cure – con decisione poi confermata in sede di appello – la società così costituita rappresentava una azienda coniugale ai sensi dell’art. 177, lett. d) c.c., ossia un’azienda gestita da entrambi i coniugi, costituita dopo il matrimonio ed entrata così a far parte della comunione legale. In tale contesto, il recesso della moglie non avrebbe quindi modificato l’assetto societario, determinando solo la cessione della cogestione dell’azienda e lasciando sussistere la comproprietà di tutti i beni aziendali in capo ad entrambi i coniugi ed il regime della comunione legale fra i medesimi.

Il marito soccombente proponeva ricorso per cassazione avverso alla sentenza resa dalla Corte di Appello, sostenendo, tra l’altro, una violazione dell’art. 112 c.p.c. relativa al rapporto tra chiesto e pronunciato e ritenendo erroneo il riferimento all’art. 177, lett. d) c.c., ossia alla azienda coniugale tra i coniugi, sussistendo tra i coniugi, invece, una società di persone nei confronti della quale la moglie aveva semplicemente esercitato il diritto di recesso. La Suprema Corte accoglieva il ricorso.

La Cassazione, in obiter, ripercorreva le ipotesi previste dalla legge sulle modalità di esercizio dell’attività di impresa da parte dei coniugi, sottolineando altresì le differenze esistenti fra i vari modelli. Evidenziava la Corte che l’azienda coniugale ex art. 177, co. 1, lett. d), c.c. ricade nella comunione legale tra coniugi, che vi assumono posizione paritaria in quanto l’azienda è acquisita in costanza di matrimonio e viene gestita da entrambi. L’esistenza della cogestione dell’azienda da parte dei coniugi rappresenta l’elemento di differenziazione tra l’azienda coniugale ex art. 177, co. 1, lett. d), c.c.  e la mera collaborazione tra i coniugi che si verifica nell’impresa familiare ex art. 230 bis c.c., ove si attua una semplice partecipazione del coniuge all’attività aziendale, interamente imputata al titolare dell’impresa.

Tuttavia, precisava la Corte, tra i coniugi può pure sussistere un rapporto sociale: l’esistenza di un atto costitutivo vale proprio a segnalare che non di mera gestione di azienda coniugale in comunione si tratta, ma di titolarità dell’azienda in capo all’ente collettivo; è infatti rimessa all’autonomia negoziale dei coniugi la scelta circa il tipo di organizzazione da adottare nell’esercizio collettivo dell’impresa. Dinnanzi alla scelta della forma societaria dei coniugi, ossia in presenza di un rapporto tipizzato, dotato di regolamentazione compiuta e autosufficiente, la disciplina sussidiaria dell’impresa familiare diviene recessiva.

Osservava la Corte che ove tra i soci sussista un regime societario, i beni conferiti in società appartengono al patrimonio di questa e non ai singoli soci, essendo anche le società di persone dotate di soggettività di diritto; il recesso di un socio comporta quindi che la partecipazione si concentri in capo al socio superstite, con conseguente scioglimento della società personale di due soci rimasta con unico socio e successiva liquidazione della società ove la pluralità non sia ricostituita entro sei mesi, ai sensi dell’art. 2272 c.c.

Nel caso di specie, tra i coniugi si era costituita una società di persone nei confronti della quale la moglie aveva esercitato il recesso prima dello scioglimento della comunione legale e ora la medesima chiedeva l’accertamento della proprietà dei beni stessi con una modifica del regime di proprietà, ossia da quello societario a quello comproprietario.

Dal recesso del socio deriva quindi il diritto di quest’ultimo alla liquidazione della quota, il cui valore va determinato ai sensi dell’art. 2289 c.c. tenuto conto del valore patrimoniale al momento dello scioglimento del rapporto sociale.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE

Questa pronuncia è particolarmente importante perché fornisce ulteriori specificazioni in materia di impresa coniugale e delle sue varie e differenti declinazioni.

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