Con la sentenza n. 20615 del 13 ottobre 2016, la Corte di Cassazione è intervenuta in materia di contemperamento tra diritto alla riservatezza e diritto alla trasparenza amministrativa, ritenendo quest’ultima prevalente con riferimento alle particolarità del caso di specie.
IL FATTO:
La questione è stata portata all’attenzione della Suprema Corte al termine di una vicenda giudiziaria che ha avuto origine dalle richieste di risarcimento dei danni formulate da alcuni cittadini del Comune di Marsala in virtù, rispettivamente, di un incidente stradale e di una caduta avvenuta all’interno di un palazzo di proprietà del Comune.
L’amministrazione comunale aveva ritenuto di costituirsi in giudizio nei procedimenti di cui sopra a seguito dell’adozione di due delibere della Giunta, delibere in seguito pubblicate sul sito internet istituzionale, le quali contenevano alcuni dati relativi ai soggetti danneggiati (nello specifico, il nome ed il cognome dei cittadini ed il modello dell’auto coinvolta nel sinistro ed il riferimento alla lesione al ginocchio destro riportata dalla vittima della caduta).
Ritenuto il contenuto delle delibere lesivo del loro diritto alla riservatezza, i cittadini avviavano un ulteriore procedimento, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti a seguito della pubblicazione dei testi delle delibere, richiesta che veniva accolta in primo grado dal Tribunale di Marsala.
Il Comune procedeva quindi ad impugnare la sentenza avanti alla Corte di Cassazione, la quale si è espressa, con la pronuncia in esame, in totale favore dell’ente pubblico, cassando la decisione del Tribunale,
In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che «la pubblicazione e la divulgazione di atti che determinino una diffusione di dati personali deve ritenersi lecita qualora prevista […] da una norma di legge o di regolamento», condizione che risulta applicabile al caso di specie «poiché l’Amministrazione comunale non avrebbe potuto adempiere alla finalità dell’atto in modo diverso da quello attuato». In aggiunta, la Corte ha ritenuto che il termine previsto dall’art. 124 del D.lgs. 267/2000, il quale dispone che le deliberazioni del Comune vengono pubblicate mediante pubblicazione nell’albo pretorio per quindi giorni consecutivi, non possa ritenersi perentorio, anche alla luce delle linee guida contenute dal D.lgs. 33/2013, in tal modo contravvenendo espressamente a quanto stabilito dal Garante della Privacy in un recente provvedimento (prescrizione del 26 marzo 2015).
Gli ermellini proseguono affermando che i dati riportati nelle delibere oggetto di contestazione non sono tali da rendere le persone “identificabili” ai sensi del D.lgs. 196/2003 se non associati «ad altri elementi identificativi», quali data e luogo di nascita, dimora, residenza, domicilio, codice fiscale, attività lavorativa, dati che potrebbero sì essere ottenuti, ma unicamente – per lo meno a giudizio della Corte – con «un dispendio di attività, di energie e di spesa del tutto sproporzionato rispetto all’interesse all’identificazione» dei soggetti danneggiati, anche considerando il contesto sociale della città di appartenenza (che conta circa 80.000 abitanti).
La Cassazione va oltre, statuendo che il riferimento «ad un banale infortuno al ginocchio» contenuto nelle delibere non è idoneo a rientrare «a nessun titolo tra le notizie “idonee a rivelare lo stato di salute” del danneggiato (tali essendo per converso, quelle destinate a disvelare patologie, terapie, anamnesi familiari, accertamenti diagnostici)».
Per concludere, la Corte ribadisce il principio della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali che non superino una determinata soglia e gravità e della irrisarcibilità di quelli che non risultino puntualmente allegati e provati.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La pronuncia della Cassazione in commento è destinata a far discutere, poiché si pone in discontinuità con i precedenti della stessa Corte che avevano riconosciuto in capo a determinate Pubbliche Amministrazione la violazione del diritto di riservatezza a fronte della pubblicazione sull’albo pretorio e nel sito internet istituzionale di delibere contenenti dati personali dei propri dipendenti (cfr. Cass. Civ., Sent., 8 agosto 2013, n. 18980; Cass. Civ., Sent., 13 febbraio 2012, n. 2034).
Dubbi emergono anche con riferimento alla scelta di non considerare il riferimento all’infortuno al ginocchio come un dato idoneo a rivelare lo stato di salute, per non parlare del fatto che non risulta semplice comprendere come la pubblicazione in una delibera della Giunta comunale di estremi identificativi possa rispettare i principi di necessità, pertinenza e non eccedenza di cui al D.lgs. 196/2003.
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