Con la sentenza 8437/2016 il Tribunale di Roma si pone nel solco della giurisprudenza italiana e comunitaria in materia di responsabilità dell’Internet Service Provider (ISP), condannando la società statunitense Break Media a risarcire una società del Gruppo Mediaset per il danno derivante dalla diffusione abusiva di 48 video estratti da programmi della società italiana per un totale di 77 minuti.
IL FATTO:
Il Tribunale di Roma ha avuto modo di affrontare la questione nell’ambito del giudizio promosso da R.T.I. ed avente ad oggetto la contestazione della violazione dei propri diritti d’autore a causa della diffusione non autorizzata di estratti di trasmissioni della società italiana da parte della società statunitense, titolare della piattaforma digitale “Break”.
I giudici romani hanno dunque individuato in capo all’ISP americano un puntuale elenco di fattori, tra i quali la catalogazione ed organizzazione dei contenuti in specifiche categorie, l’esistenza di un intervento diretto sui contenuti da parte dell’ISP, l’esistenza di “termini di servizio” che vietano il caricamento di contenuti lesivi del diritto di autore e via dicendo, al fine di escludere la riconducibilità della società americana alla figura di hosting provider delineata dall’art. 16 del d.lgs. 70/2003, con conseguente disapplicazione dell’esenzione di responsabilità ivi contenuta.
Tali fattori hanno contribuito a qualificare Break Media come un “sofisticato content provider” (definito nella sentenza anche “hosting attivo”), rendendo evidente agli occhi dei giudici l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 16 cit. Ne risulta che la conoscenza, acquisita “in qualsiasi modo”, della illiceità dei dati pubblicati da parte dell’ISP permette di configurare a suo carico una responsabilità civile e risarcitoria sulla base delle norme comuni in tema di responsabilità civile.
Il Tribunale inoltre, in disaccordo con la tesi formulata dalla Corte d’Appello di Milano nel caso Yahoo, ha affermato come la tesi della necessità della specifica indicazione dello Uniform Resource Locator (URL) per ogni contenuto diffuso in violazione del diritto di autore sia da ritenersi “insostenibile” poiché, oltre a rendere difficile, se non impossibile, ottenere la tutela invocata, risulta “in contrasto con tutte le direttive europee e le sentenze della Corte di giustizia che, pur affermando l’insussistenza di un obbligo generale di sorveglianza, mai hanno considerato la necessità della specifica e tecnica indicazione degli URL”.
Per quanto riguarda infine la quantificazione del danno, il Tribunale di Roma ha ritenuto applicabile al procedimento in esame la consolidata dottrina del “prezzo del consenso”, secondo cui l’ammontare del risarcimento deve essere calcolato “in riferimento al modello di business adottato dal titolare del diritto per stabilire quanto sarebbe stato disposto ad accettare per concederne l’uso”.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La pronuncia in analisi conferma la distinzione elaborata a livello giurisprudenziale tra provider attivi e passivi, in base alla quale ove l’hosting non si limiti a fornire spazi di memoria per lo stoccaggio di dati da parte degli utenti, svolgendo un ruolo meramente tecnico, ma fornisca “un seppur minimo contributo di editing del materiale lesivo di interessi tutelati”, esso cessa di usufruire della protezione offerta dall’art. 16 del d.lgs. 70/2003, lasciando spazio al riconoscimento di una sua responsabilità in sede civile.
Come è facile intuire, si tratta di un regime di particolare favore nei confronti dei produttori di contenuti tutelati dal diritto d’autore, la cui conseguenza principale è che il giudizio sulla responsabilità dell’ISP rispetto alle informazioni o contenuti trasmessi finirà per risolversi in un esame dell’attività da esso svolta al fine di stabilire quando possa assumere o meno un ruolo meramente tecnico e passivo nell’attività di trasmissione e selezione dei contenuti.
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