Il Tribunale di Spoleto esclude l’ammissibilità della messa alla prova per gli enti imputati ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.

Il Tribunale di Spoleto, con ordinanza del 21 aprile 2021, nel solco delle precedenti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Bologna, ha escluso l’ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti di due società imputate di un illecito amministrativo dipendente da reato ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, non aderendo all’opposto e minoritario orientamento che aveva ritenuto possibile l’accesso del soggetto collettivo alla cd. probation.

IL FATTO:

Il Giudice Monocratico del Tribunale di Spoleto ha rigettato l’istanza avanzata dai difensori di due enti imputati in ordine a un illecito amministrativo dipendente da reato volta a ottenere l’applicazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, previsto per gli imputati persone fisiche dagli artt. 168-bis c.p. e 464-bis c.p.p. ma non anche per gli enti destinatari della disciplina stabilita dal D. Lgs. n. 231/2001. Tale lacuna normativa, secondo le difese, avrebbe dovuto essere colmata dal giudice in via interpretativa.

 PERCHÈ È IMPORTANTE:

 La recente pronuncia del Tribunale di Spoleto è intervenuta su un tema oggetto di un persistente dibattito giurisprudenziale innescato dal contrasto tra alcune pronunce di merito che hanno escluso l’applicabilità della cd. “messa alla prova” agli enti imputati di un illecito amministrativo dipendente da reato e altre che, al contrario, si sono mostrate favorevoli a un’applicazione in via analogica di tale istituto.

Come è noto, la messa alla prova è un istituto a duplice natura, sostanziale e processuale, che consiste nella sospensione del procedimento penale per il periodo di tempo corrispondente allo svolgimento da parte dell’imputato persona fisica di un programma di trattamento avente ad oggetto l’esecuzione obbligatoria di un lavoro di pubblica utilità.

Investito per primo della questione, il Tribunale di Milano (ordinanza del 27 marzo 2017) aveva escluso la possibilità di colmare in via analogica l’assenza di una disposizione in tal senso valida anche per gli enti senza incappare in una violazione del principio di riserva di legge che, assumendo carattere assoluto con riferimento all’individuazione della pena –  quale sarebbe, a detta del giudicante, il lavoro di pubblica utilità previsto dalla messa alla prova – non consentirebbe di irrogare all’ente una sanzione non espressamente prevista dalla legge.

Più di recente il Tribunale di Bologna (ordinanza del 10 dicembre 2020), pur non condividendo le motivazioni del Giudice milanese, ha allo stesso modo respinto l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’ente ritenendo che la mancata previsione di tale istituto all’interno del D. Lgs. n. 231/2001 debba considerarsi non una mera dimenticanza del legislatore, bensì l’espressione della chiara volontà di non applicare agli enti un istituto “modellato sulla figura dell’imputato persona fisica, in un’ottica, non soltanto specialpreventiva, riparativa e conciliativa, ma soprattutto rieducativa”.

Da ultimo, il Tribunale di Spoleto ha ribadito nell’ordinanza in commento come risulti in concreto difficoltoso applicare la messa alla prova agli enti, non essendo chiari, con riferimento a quest’ultimi, i requisiti oggettivi di ammissibilità dell’istituto “a differenza di quanto invece previsto per gli imputati persone fisiche, a cui l’art. 168-bis c.p. accorda il beneficio della messa alla prova alla duplice condizione che non ne abbiano già usufruito in precedenza e che si proceda per i reati puniti con pena pecuniaria ovvero detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione”.

Lo stesso Giudice di Spoleto ha aggiunto, poi, a sostegno della propria argomentazione, come l’ammissione dell’ente al programma di messa alla prova finirebbe per creare all’interno del “Sistema 231” una inaccettabile sovrapposizione tra l’istituto in esame e la previsione di cui all’art. 17 D. Lgs. n. 231/2001 che riconosce all’ente, previa adozione di una serie di condotte risarcitorie e riparatorie, una mitigazione del trattamento sanzionatorio escludendo l’applicazione di eventuali sanzioni interdittive. In sostanza, consentire all’ente di accedere all’istituto della messa alla prova gli fornirebbe un “agevole strumento per eludere la disciplina degli artt. 17 e 65 D. Lgs. n. 231/2001, consentendogli di ottenere, alle stesse condizioni dettate dalle disposizioni normative appena menzionate e senza alcun onere aggiuntivo, il beneficio della estinzione del reato”.

Da ultimo, merita richiamare per completezza una ordinanza del 21 settembre 2020 del Tribunale di Modena con cui il G.i.p., basandosi su considerazioni diametralmente opposte, ha disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova nei confronti di una società imputata ex D. Lgs. n. 231/2001, acconsentendo all’esecuzione del programma proposto dalla difesa, all’esito del quale è stato dichiarato estinto anche l’illecito amministrativo dipendente dal reato commesso. Una simile soluzione sembra emergere anche da una successiva ordinanza, sempre del Tribunale di Modena, nella quale il Giudice ha lasciato in sostanza intendere che avrebbe potuto valutare l’istanza di messa alla prova avanzata dalla difesa dell’ente solo ove questo fosse stato dotato di un modello di organizzazione, gestione e controllo prima della commissione dell’illecito contestatogli. A detta del Giudice, solo in presenza di questo imprescindibile prerequisito egli avrebbe potuto compiere efficacemente la “prognosi negativa sulla “pericolosità organizzativa” dell’ente, come richiesto dall’art. 464-quater co. 3 c.p.p.”.

Visto l’ampio dibattito registratosi sia in dottrina che in giurisprudenza che non ha portato al raggiungimento di un orientamento uniforme – anche per l’assenza di pronunce della Corte di Cassazione sul punto – sarebbe auspicabile un intervento del legislatore volto ad adattare l’istituto della messa alla prova al processo a carico dell’ente al fine di valorizzare quel carattere tipicamente rieducativo che da sempre contraddistingue l’impianto del D. Lgs. n. 231/2001.

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