Diritto all’oblio: a rischio il diritto di cronaca

ThinkstockPhotos-466678445Con la discussa sentenza n. 13161 del 24 giugno 2016, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del diritto all’oblio (right to be forgotten), ovvero il diritto esistente in capo ad ogni singolo individuo di richiedere la rimozione dal web di qualsiasi risultato di ricerca collegato al proprio nome, nel caso in cui questo, pur rispondendo a verità, dovesse cessare di rivestire i connotati dell’interesse pubblico o non risultare più attuale. Tale principio è stato dapprima affermato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la celebre sentenza C-131/12 (c.d. Google Spain), per poi venire confermato dall’Art. 29 Data Protection Working Party con le apposite linee guida emanate il 26 novembre 2014.

IL FATTO:

La questione è stata portata all’attenzione della Suprema Corte al termine di una vicenda giudiziaria che ha avuto origine nel 2013, con una pronuncia del Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, che aveva condannato una testata giornalistica online alla cancellazione dei contenuti, presenti sul proprio sito internet, legati ad un fatto di cronaca oggetto di un procedimento penale – tuttora in corso – oltre al risarcimento del danno in favore degli attori, in forza dell’illegittimo trattamento dei dati personali operato dal quotidiano locale.

La testata, che aveva legittimamente pubblicato la notizia nel 2008, a distanza di appena due anni si era vista recapitare una diffida, proveniente da parte dei soggetti coinvolti nella notizia diffusa, con la quale si intimavano la rimozione e deindicizzazione dei contenuti rimasti a disposizione degli utenti nell’archivio del sito web del quotidiano almeno fino all’anno seguente, quando il giornale convenuto aveva deciso, nelle more del giudizio nel frattempo iniziato, di rimuovere la notizia, con l’auspicio di mettere la parola fine alle contestazioni.

La Suprema Corte, invece di porre rimedio a quella che, già in origine, era sembrata una decisione non ben calibrata da parte dell’organo giudicante, ha confermato la decisione del giudice di merito, non solo ritenendo che la richiesta di rimozione fosse fondata e meritevole di accoglimento, ma che l’illecito trattamento di dati personali svolto dal quotidiano dal momento della diffida a quello della rimozione avesse arrecato un danno agli attori, prontamente liquidato in sede di pronuncia giurisdizionale.

Per gli ermellini “la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati non poteva più avvenire”.

Insomma, considerato che, anche grazie al supporto fornito dai motori di ricerca, la notizia pubblicata online deve considerarsi di agevole reperibilità (a prescindere dal tempo trascorso dal fatto di cronaca), trascorsi appena due anni dagli accadimenti che hanno dato origine alla notizia, l’interesse pubblico deve considerarsi soddisfatto, nonostante i fatti oggetto di pubblicazione siano tuttora al vaglio dell’autorità giudiziaria, con la conseguenza che, nel bilanciamento di interessi tra il diritto di cronaca in capo al mezzo di informazione ed il diritto alla riservatezza del singolo individuo, è quest’ultimo a prevalere.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

La Cassazione con la pronuncia in commento va ben oltre quanto stabilito a livello comunitario sia dalla giurisprudenza, che dal Gruppo dei Garanti Europei: se infatti la richiesta di deindicizzazione dei contenuti lesivi appare legittima, mai si era arrivati ad affermare l’esigenza che il contenuto fosse rimosso dall’archivio del sito web di una testata giornalistica, questo proprio per evitare di compromettere la tutela della libertà di informazione.

Resta poi da capire come il principio affermato dalla Corte di Cassazione possa coordinarsi con quanto stabilito dal nuovo Regolamento UE 2016/679 in materia di privacy, il quale, per la prima volta, disciplina in maniera compiuta il diritto all’oblio. L’art. 17 della nuova normativa, infatti, se da un lato riconosce in capo all’interessato “il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo”, dall’altro stabilisce anche che alla richiesta di cancellazione possa non farsi seguito qualora i dati del soggetto richiedente siano stati lecitamente utilizzati “per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione” o “a fini di archiviazione nel pubblico interesse”.

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