È fondata la richiesta di risarcimento formulata dal professionista per i danni patiti a causa della diffusione, senza un preventivo consenso, del proprio nominativo in associazione alla localizzazione del proprio studio professionale nell’ambito di un programma televisivo, ed in un contesto estraneo all’ambito professionale.
Questo è quanto ha sancito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3426 del 13 febbraio 2018.
IL FATTO:
La vicenda sulla quale la Corte di Cassazione si è trovata a dover giudicare nasce dalla causa promossa da un professionista avverso due società televisive, al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa della diffusione dei propri dati personali in assenza di preventivo consenso. In particolare, l’attore, odontoiatra, lamentava il fatto che, nel corso di un famoso programma televisivo di intrattenimento, fosse stato diffuso il proprio nominativo, nonché la localizzazione del proprio studio professionale, in un contesto assolutamente estraneo a quello professionale.
In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda attorea e, di conseguenza, condannava le due società, coinvolte nel trattamento dei dati, a risarcire i danni lamentati.
All’esito del giudizio di secondo grado, la Corte d’Appello, rilevando che la comunicazione dei suddetti dati, avvenuta in assenza di consenso, aveva determinato una violazione del diritto al rispetto dei propri dati personali, confermava la sentenza del Tribunale.
Le due società condannate, dunque, si rivolgevano alla Corte di Cassazione, sostenendo l’illegittimità delle precedenti sentenze.
Le ricorrenti, in particolare, sostenevano che la Corte d’Appello avesse erroneamente ritenuto sussistente e dimostrato un danno non patrimoniale sulla base di una circostanza di fatto negativa e di indole presuntiva, mai allegata e provata dal professionista, ossia “l’assenza, prima dei fatti di causa, di qualsivoglia manifestazione, da parte dell’attore, di esibizionismo e/o di intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionale“. Le società televisive, inoltre, censuravano la sentenza impugnata in quanto la corte territoriale avrebbe arbitrariamente individuato, nel danno inferto alla privacy “uno statuto diverso e autonomo dalla lesione di ogni altro diritto della persona, non potendo escludersi, anche in relazione al danno alla privacy, la necessità che lo stesso venga puntualmente allegato e provato in relazione a ciascuna delle sue componenti, ivi compresa la sussistenza delle specifiche conseguenze dannose secondarie alla lesione dell’interesse protetto“.
I giudici di legittimità, ritenuta l’infondatezza di tutti i motivi proposti, hanno rigettato il ricorso.
Gli stessi, in particolare, hanno osservato come, in realtà, le due società non avessero colto le argomentazioni a fondamento della sentenza impugnata, con particolare riferimento alla prova del danno sofferto.
Gli ermellini, infatti, ribadendo quanto già affermato dalla Corte d’Appello, hanno confermato il carattere decisivo del rilievo per cui è ragionevole riconoscere, nella generalità dei consociati, la sussistenza di un “intimo desiderio/necessità di riservatezza“, che costituisce “il principale dei valori che le norme sulla privacy riconoscono ed intendono tutelare“. Ebbene, alla luce di tale generale considerazione, certamente valevole anche per il caso di specie, e rilevata l’avvenuta esposizione mediatica non autorizzata dei suddetti dati personali, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la pronuncia della Corte d’Appello, la quale, stante l’assenza di precedenti manifestazioni da parte dell’attore di “esibizionismo e/o intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionale“, ha fondato il riscontro del danno subito attraverso l’estensione, all’attore, del fatto positivo costituito dalla generale ricorrenza di una condizione di sofferenza derivante dalla lesione dell’interesse al rispetto del proprio ambito di riservatezza: fatto che, nella fattispecie, non è apparso in alcun modo contraddetto.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
Il provvedimento in esame risulta di notevole interesse poiché, con lo stesso, la Corte di Cassazione prende posizione sul diritto degli individui alla riservatezza ed alla tutela dei propri dati personali nonché alle possibili violazioni dovute all’esposizione mediatica in assenza di preventivo consenso.
Tale pronuncia, peraltro, appare ancor più rilevante in considerazione del nuovo regolamento privacy europeo (GDPR), che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio 2018, il quale ha sensibilmente rafforzato la tutela dei dati personali stabilita dalla previgente normativa.
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