La banda ondulata delle calzature Puma é un marchio debole, cosicché sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte.
IL FATTO
La vicenda giudiziaria ha avuto inizio ancora nei primi anni 2000, con un procedimento cautelare avviato a Torino, da Puma (precisamente da Puma AG Rudolf Dassler Sport e Puma Italia S.r.l.) nei confronti dell’azienda padovana Simod, e con un giudizio ordinario avviato a Padova, nel 2002, da Simod contro Puma.
Il procedimento cautelare si concludeva con la revoca del decreto, che era stato emesso inaudita altera parte, per incompetenza territoriale del giudice adito.
Venendo al giudizio patavino, in esso Simod, in tale sede assistita anche da Tonucci & Partners, chiedeva al Tribunale di: (i) accertare l’insussistenza della contraffazione da parte sua della frazione italiana del marchio figurativo internazionale registrato da Puma e costituito da una banda ondulata (ossia la banda ondulata che si trova apposta ai lati delle tomaie della calzature Puma); (ii) accertare incidentalmente la nullità della porzione italiana di detto marchio; (iii) accertare l’insussistenza di alcuna condotta di concorrenza sleale. Puma, invece, chiedeva l’accertamento della contraffazione del proprio marchio e del compimento di atti di concorrenza sleale, con condanna di Simod a porre fine alla denunziata condotta illecita e al risarcimento dei danni.
Nell’aprile 2008, il Tribunale di Padova pronunziava sentenza con cui accertava la validità del marchio di Puma, ma escludeva sia la contraffazione che la concorrenza sleale.
La sentenza veniva impugnata da Puma avanti la Corte d’Appello di Venezia, la quale, al termine del giudizio di secondo grado, confermava la sentenza del Tribunale.
In particolare, la contraffazione veniva esclusa sulla base della valutazione per cui:
Puma, allora, impugnava la sentenza di secondo grado con ricorso per Cassazione, articolato secondo una pluralità di motivi.
Con sentenza n. 6551 depositata il 14.3.2017, la Corte di Cassazione Civile ha rigettato il ricorso, non ritenendo degno di accoglimento alcuno dei motivi.
In particolare, é stata così confermata l’esclusione della contraffazione, precisando la Suprema Corte: (i) quanto alla anch’essa confermata valutazione di debolezza del marchio, come la funzione estetica svolta dal segno in questione nell’accompagnare la forma del prodotto vada letta in chiave di collegamento descrittivo con il prodotto, di talché ne risulta affievolita la capacità distintiva (nella misura in cui lascia trasparire quale prodotto contraddistingua); (ii) quanto alla tutela del marchio debole, che sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte.
Si segnala, infine, come la Suprema Corte abbia ritenuto questione nuova, di cui quindi era precluso l’esame, quella del cd. secondary meaning (ossia l’uso intenso di un segno tale per cui in virtù di esso un marchio originariamente debole può divenire forte).
PERCHE’ E’ IMPORTANTE:
La sentenza in commento è di interesse perché, nel rimarcare la differenza di tutela assicurata a marchi forti e a marchi deboli, rimarca come sia importante che un’azienda, quando decide di adottare un segno distintivo, si indirizzi fin da subito verso un marchio forte, ossia un segno frutto di pura fantasia e senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti. L’ideazione e l’adozione di un marchio forte richiedono in genere più sforzi e impegno, ma assicurano, poi, una miglior tutela. Spesso, infatti, accade che ci si orienti verso marchi che richiamano i prodotti che si vogliono contraddistinguere, senza considerare appieno come siffatti marchi siano deboli (se non a volte addirittura nulli perché semplicemente descrittivi dei prodotti) e come, quindi, sia sufficiente ai concorrenti apportare poche modifiche per scongiurare di ricadere nella contraffazione.
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