Tassatività e determinatezza del precetto penale e delitto di appropriazione indebita commesso mediante impossessamento di files informatici.

I files contenuti in supporti informatici o in servers presentano una dimensione fisica che ne consente l’impossessamento, indipendentemente dalla possibilità di averne una percezione sensoriale. Con sentenza n. 11959/2020, la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, chiarisce che i files rientrano nella definizione di “cosa mobile” agli effetti della configurabilità della fattispecie delittuosa di appropriazione indebita, attraverso una attività di interpretazione del dato normativo necessitata dal mutato ventaglio di condotte umane astrattamente realizzabili con l’impiego delle tecnologie informatiche.

IL FATTO:

Un ex dipendente restituisce il computer aziendale dopo averne formattato l’hard disk e aver “trasferito” i dati che vi erano contenuti in altri computers da lui utilizzati: viene ritenuto colpevole del delitto di appropriazione indebita, dal momento che i files, secondo le nozioni informatiche comunemente accolte e le specifiche ISO, non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità. Di conseguenza, esattamente come accade per il caso di trasferimenti di denaro mediante disposizioni bancarie impartite telematicamente, i files sono beni che possono divenire oggetto di sottrazione o di apprensione illecita.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

La sentenza in commento, al di là dell’apparente semplicità delle questioni di diritto sollevate dal ricorrente, compie un significativo sforzo esegetico ed interpretativo riguardo al fatto tipico descritto dall’art. 646 del codice penale, con particolare riferimento all’oggetto materiale della condotta, per stabilire se i dati informatici siano riconducibili alla definizione di “cosa mobile” di cui sia possibile l’appropriazione con conseguente perdita del possesso da parte del titolare dei files. In particolare, la giurisprudenza precedente aveva dubitato del fatto che l’appropriazione indebita potesse riguardare beni immateriali e ritenuto che tra questi ultimi rientrassero anche i files informatici. Nell’affermare il principio di diritto secondo cui i dati informatici sono qualificabili come “cose mobili” agli effetti della legge penale e che costituisce condotta rilevante ai sensi dell’art. 646 del codice penale la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati ivi contenuti mediante formattazione, la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha richiamato concetti tecnico – scientifici di matrice informatica per “ridefinire” il contenuto della fattispecie incriminatrice, nel doveroso rispetto del principio di legalità. In particolare, i dati informatici occupando una porzione di memoria di un supporto di memorizzazione digitale, all’interno della quale sono possibili operazioni quali la creazione, la copiatura e la stessa eliminazione sono caratterizzati da una “fisicità” proporzionata al quantitativo di elementi che compongono ciascun file e allo spazio disponibile nel sistema operativo che li contiene. Da tale premessa discende, secondo il Giudice di Legittimità, che i files possono essere oggetto della tipologia di condotta incriminata dall’art. 646 del codice penale, proprio perché trasferibili da un supporto ad un altro restandone invariato il contenuto, duplicabili, suscettibili di viaggiare in internet e dunque anche “materialmente” sottraibili in ragione della “mobilità”. La motivazione della decisione pone rilievo come l’evoluzione tecnologica apra scenari e renda realizzabili condotte che senza una opportuna evoluzione, anche nella interpretazione delle norme penali, resterebbero impunite a dispetto del loro evidente disvalore.

 

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