Riqualificazione ai fini dell’imposta di registro, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di contratti di cessione/costituzione di diritto di superficie in cessione di azienda, nel settore delle rinnovabili.

L’intento, con cui il Legislatore, prima con l’art. 1, comma 87, della Legge n. 205/2017 e poi con l’art. 1 comma 1084 della Legge n. 145/2018, ha modificato l’art. 20 del d.P.R. 131/86 (T.U. Imposta di Registro), è stato quello di limitare la prassi dell’Ufficio finanziario nel riqualificare gli effetti degli atti oggetto di registrazione ai fini della rideterminazione della maggiore imposta di registro. Due recenti pronunce di merito, rilasciate sulla base dell’art. 20 ante modifiche, ci offrono lo spunto per valutare il procedimento di revisione dei contratti ma soprattutto considerare come la giurisprudenza di merito valuta il perimetro del trasferimento oggetto di riqualificazione nel settore delle energie rinnovabili.

IL FATTO:

Sul tema della riqualificazione della figura contrattuale più ricorrente nel settore delle rinnovabili, (contratti di cessione e/o costituzione di diritti di superficie) in cessione di rami di azienda, la giurisprudenza di merito si è espressa di recente.

Con sentenza n. 692/2019, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia si è pronunciata relativamente ad  un avviso di rettifica e liquidazione ove l’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato come cessione di ramo d’azienda un contratto di costituzione del diritto di superficie per alcuni immobili, sui quali insisteva un impianto fotovoltaico. La Commissione ha negato la possibilità di qualificare detto atto quale trasferimento d’azienda in quanto, seppur l’impianto fotovoltaico è “potenzialmente idoneo allo svolgimento di un’attività d’impresa”, non integra di per sé e nella sua unicità una struttura organizzativa, bensì un semplice immobile strumentale, mancando nella fattispecie l’elemento dell’organizzazione, che come noto è essenziale per la configurazione dell’azienda (in terminis CTR Lombardia n. 1812/2018).

Secondo la sentenza, nonostante sia indubbia la finalità dello sfruttamento commerciale sottesa al trasferimento dell’impianto fotovoltaico, tale finalità non è in grado di modificare la sostanza del bene: l’impianto, sebbene costituisca uno strumento per la produzione di energia elettrica, non integra sempre e comunque una struttura organizzativa quale “insieme di beni diversi, per quantità e qualità, tra di loro organizzati per consentire il raggiungimento di risultati diversi da quelli che avrebbero potuto raggiungere isolatamente presi”.

Con una motivazione più articolata, la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, con la sentenza n. 887/2018, si è espressa in merito alla qualificazione, ai fini impositivi, dell’atto di cessione del diritto di proprietà superficiaria di un opificio industriale, costituito anch’esso da impianto fotovoltaico e annessi locali; l’Ufficio dell’Amministrazione finanziaria, in quell’occasione, aveva ravvisato alcuni elementi rivelatori dell’azienda riqualificando il contratto, attraverso l’art. 20 del d.P.R. 131/1986 (di seguito “Tur”), come trasferimento di un ramo della stessa.

Anche in questo caso, la Commissione si è espressa favorevolmente al contribuente, richiamando la sentenza n. 21770/2014 con cui la Corte di Cassazione ha riconosciuto come legittimo l’utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’articolo 20 del Tur per verificare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici di un contratto registrato, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente.

Sulla scorta di tale orientamento, i giudici bolognesi osservano che non è possibile tramutare la compravendita di bene strumentale in acquisto di ramo d’azienda, giacché l’impianto fotovoltaico “da solo e con il semplice allacciamento alla rete non è in grado di produrre autonomamente energia elettrica per il periodo incentivato, in quanto l’impianto necessita di manutenzione, assistenza programmata, adeguamenti tecnologici” aggiungendo peraltro che in capo all’acquirente “non sono stati trasferiti il mutuo [….] i contratti di lavoro dipendente, i contratti di vendita dell’energia elettrica prodotta dall’impianto”.

Per poter individuare una cessione di azienda, la Corte di Cassazione si è espressa in più occasioni fornendo alcuni indici sintomatici della stessa, quali a titolo esemplificativo la stabilità dell’entità economica organizzata, la conservazione dell’identità aziendale, la potenzialità ex ante dell’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo imprenditoriale; tali parametri devono essere valutati complessivamente, sia pur non in maniera tassativa e cumulativa, al fine di appurare l’esistenza di un rapporto di interdipendenza in base al tipo di attività già esercitata o esercitabile.

In definitiva, secondo la suprema Corte “rileva unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali” (cfr. Cassazione n. 17785/2017 e  n. 13580/2007). È compito del giudice, dunque, indagare sulla reale intenzione delle parti, desumibile dal risultato finale del negozio o dal collegamento dei diversi negozi giuridici posti in essere dai contraenti. .

PERCHÉ È IMPORTANTE:

Preme rimarcare che le sentenze commentate non escludono in assoluto la possibilità di riqualificare i contratti, potendo l’Amministrazione finanziaria sempre avvalersi della disposizione di cui all’art. 20 Tur, che per l’appunto accorda tale potere: in tali pronunce i giudici di merito hanno solo ritenuto non adeguatamente motivate tali riqualificazioni e quindi non sostenute in punto di fatto dagli elementi che la giurisprudenza quasi costante della Corte di Cassazione ha individuato come indici rivelatori dell’azienda.

Ciò suggerisce quindi l’adozione di un comportamento prudente nella regolazione di tali contratti rammentando anche che la nuova versione dell’art. 20 Tur dopo le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2018  (art. 1 comma 1084 Legge n 145/2018) ha solo circoscritto il modus operandi e certamente non annullato tout court l’esercizio della facoltà di interpretare gli atti ed i contratti secondo la reale intenzione dei contraenti.

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