Ricapitalizzazione ai sensi dell’art. 2482 ter del c.c. ed esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l..

Come affermato dal Tribunale di Milano con sentenza del 10 ottobre 2019, è improcedibile l’azione di responsabilità promossa dal socio che non abbia sottoscritto l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci ai sensi dell’art. 2482 ter, comma 1, del c.c., in quanto tale evento determina la perdita della qualità di socio e, quindi, la perdita della legittimazione attiva ad agire in giudizio contro gli amministratori in qualità di sostituto processuale della società.

IL FATTO:

L’art. 2476, co. 1, c.c. stabilisce che gli amministratori siano solidalmente responsabili verso la società per i danni arrecati dagli stessi al patrimonio sociale in caso di inosservanza degli obblighi imposti loro dalla legge o dalle norme di funzionamento della società (atto costitutivo e statuto). Agli amministratori è richiesto di operare con diligenza professionale (art. 1176, co. 2, c.c.) in forza del rapporto di preposizione organica (di fonte contrattuale) in essere con la società, pur non essendo sindacabile, di norma, il merito dell’attività gestoria, salvo che sia frutto di scelte arbitrarie, illogiche e antieconomiche.

A tacer delle questioni di merito relative alla mancanza di diligenza da parte degli amministratori, l’esercizio dell’azione “sociale” di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l. spetta ai singoli soci come espressamente stabilito dall’art. 2476, co. 3, del c.c., ma anche alla società – previa deliberazione assembleare o decisione dei soci – come oramai riconosciuto da dottrina e giurisprudenza maggioritaria (si veda anche Cass., Sez. I civ., 31 maggio 2016 n. 11264). La legittimazione attiva “speciale” di ciascun socio di s.r.l. (si noti, contrariamente a quanto previsto per le s.p.a., tale legittimazione prescinde dalla consistenza della partecipazione) ha infatti natura “derivativa” rispetto a quella della società, ragion per cui del risultato dell’azione beneficerà esclusivamente il patrimonio sociale. Pertanto, pur nell’ottica di valorizzare il connotato più spiccatamente personalistico che lega il socio di s.r.l. alla società, con l’azione “sociale” il socio fa valere un diritto non proprio, ma il diritto della società alla reintegrazione, per equivalente monetario, del pregiudizio subito dal patrimonio sociale. Il socio agisce quindi quale sostituto processuale della società ai sensi dell’art. 81 del c.p.c. in presenza di un litisconsorzio necessario con la medesima.

Prova di quanto precede si rinviene, da un lato, nella circostanza che il socio possa agire contro gli amministratori solamente qualora la società non abbia deliberato di transigere o di rinunciare all’azione medesima ai sensi dell’art. 2476, comma 5, del c.c. (fatto salvo il diritto di opposizione di minoranze qualificate); e, dall’altro, considerando che il beneficiario dell’esito vittorioso dell’azione si identifica, in ogni caso, con la società.

Pertanto, se la deliberazione assembleare (o la decisione dei soci) è requisito di procedibilità per l’azione promossa dalla società, il mantenimento della qualifica di socio da parte dell’attore deve sussistere al momento dell’esercizio dell’azione e permanere per tutto il corso del giudizio, pena la declaratoria d’improcedibilità dell’azione per la sopravvenuta mancanza di una condizione dell’azione (sul punto anche Cass., Sez. I civ., 31 maggio 2016, n. 11264; Tribunale di Roma 29 settembre 2017, n. 18436).

La tematica affrontata dai giudici meneghini in relazione all’improcedibilità dell’azione si pone in un caso di mancata sottoscrizione da parte del socio (di minoranza) dell’aumento di capitale conseguente alla ricostituzione del medesimo per ingenti perdite di esercizio e, quindi, all’adozione da parte dell’assemblea dei soci di una deliberazione ai dell’art. 2482 ter, comma 1, del c.c. (i.e. le perdite abbiano eroso il capitale sociale in misura superiore a un terzo e lo stesso sia sceso al di sotto del minimo legale).

Invero, se è indubbio che il socio che non abbia sottoscritto il capitale sociale perda la qualità di socio, si potrebbe ritenere che in siffatta ipotesi – generata da una condotta asseritamente pregiudizievole degli amministratori – sarebbe incongruo – oltreché in contrasto con l’art. 24, coma 1, Cost. – ritenere quale fonte del difetto di legittimazione proprio quella situazione che l’attore assume essere imputabile agli amministratori e di cui vorrebbe vedere gli effetti eliminati per ristoro.

La sentenza del Tribunale di Milano qui commentata, nel dichiarare improcedibile la causa per difetto di legittimazione ad agire del socio specifica, peraltro, che a nulla varrebbe la circostanza che siano ancora pendenti i termini per impugnare la delibera assembleare da parte del socio (dissenziente), proprio per la natura “derivativa” della legittimazione del socio.

In conclusione, il socio (evidentemente di minoranza) che obiettasse la condotta degli amministratori perché a loro è asseritamente imputabile la necessità di coprire le perdite di esercizio e di ricapitalizzare la società (necessità a cui detto socio non può o non voglia far fronte), sarà tenuto a sottoscrivere l’aumento di capitale ex art. 2482 ter, comma 1, del c.c., al fine di mantenere la legittimazione a promuovere la responsabilità degli amministratori per il ristoro del patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2476, comma 3, del c.c., fatta salva la possibilità, per detto “socio”, di agire direttamente nei confronti degli amministratori laddove possa invece dimostrare di avere subito un danno diretto (art. 2476, co. 7, del c.c.).

PERCHE’ E’ IMPORTANTE:

Il principio ribadito nella sentenza è importante perché chiarisce, ancora una volta, il rapporto tra danno diretto e danno indiretto subito dal socio in relazione alla condotta degli amministratori e al tipo di azione di responsabilità possibilmente esperibile. Le perdite di esercizio rappresentano per definizione un pregiudizio al patrimonio della società (titolare del diritto al risarcimento dei danni) e, pertanto, un danno solo indiretto al patrimonio del socio (titolare di un’aspettativa di diritto sulla distribuzione degli utili o sulla distribuzione dell’attivo patrimoniale in caso di scioglimento della società). Qualora la società versi nella condizione di cui all’art. 2482 ter, comma 1, del c.c. per fatto imputabile agli amministratori, all’inerzia ad agire contro quest’ultimi da parte dell’assemblea dei soci (rectius degli eventuali “soci di maggioranza”), non potrà supplire il socio (rectius il “socio di minoranza”) che abbia rinunciato o non abbia potuto partecipare alla ricostituzione del capitale conseguente all’azzeramento per perdite.

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