Con l’ordinanza n. 22270 del 25 settembre 2017, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di estensione del fallimento di società in accomandita semplice al socio accomandatario occulto, confermando l’inapplicabilità a tale soggetto del termine di decadenza annuale previsto dal secondo comma dell’art. 147 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito la “Legge Fallimentare” o, in breve, “L.fall.”).
IL FATTO:
La questione è stata portata all’attenzione della Suprema Corte al termine di una vicenda giudiziaria che ha avuto origine con una pronuncia del Tribunale di Forlì, che, a seguito del fallimento di una società di persone costituita in forma di S.a.s. avvenuto nel 2008, aveva emesso sentenza dichiarativa di fallimento in estensione, ai sensi dell’art. 147 L.fall., anche nei confronti del socio occulto illimitatamente responsabile della stessa.
Tale pronuncia era poi stata oggetto di reclamo da parte del soggetto dichiarato fallito avanti alla Corte d’Appello di Bologna, la quale aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale, ritenendo provato il persistere del potere di gestione in capo al fallito anche a seguito della sua formale uscita dalla compagine sociale, con conseguente assunzione dello stesso della qualifica di socio occulto illimitatamente responsabile ed inapplicabilità del termine annuale di cui al secondo comma della norma sopra citata.
La Suprema Corte, pur anticipando che il ricorso formulato dal fallito andrà rigettato per l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi proposti, coglie l’occasione per confermare e supportare gli esiti cui è giunta la corte territoriale, soprattutto in punto di riconoscimento in capo al fallito della qualifica di socio occulto. La Cassazione riconosce il merito della Corte d’Appello, le cui considerazioni “relative alla spendita del nome sociale ed alla gestione perdurante della società, pur dopo la vendita della quota, sono fondate dalla corte del merito su di una pluralità di elementi, e bene argomentate circa la non creduta casualità o erroneità mera di quelle indicazioni”. Il fallito, infatti, aveva ricevuto dalla figlia, socio accomandatario, un’amplissima delega, esercitata – anche dopo il recesso dalla società – mediante il compimento di un elevato numero di operazione bancarie, nonché la sottoscrizione di un contratto di locazione ed una transazione qualificandosi quale legale rappresentante della società.
La Cassazione, infine, coglie l’occasione per confermare il proprio orientamento in tema di applicabilità del termine di decadenza per la dichiarazione dei soci illimitatamente responsabili ai sensi del secondo comma dell’art. 147 L.fall. Gli ermellini ribadiscono come tale termine “riguardi unicamente i soci illimitatamente responsabili di società regolare e non, invece, il socio occulto”, in quanto trattasi di ipotesi fra loro del tutto diverse. Una simile interpretazione risulta coerente con il disposto di cui all’art. 10 L. Fall., impedendo al socio occulto, privo di ogni riconoscimento nell’ambito del registro delle imprese, di fornire la prova in ordine alla cessazione della propria qualità di socio illimitatamente responsabile, ed esponendolo pertanto ad un prolungato rischio di essere dichiarato fallito, “nel prevalente interesse della tutela dell’affidamento dei terzi”.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La sentenza in esame risulta degna di considerazione in quanto riguarda una tematica delicata e pregna di conseguenze quale il fallimento in estensione del socio occulto e illimitatamente responsabile di una società di persone. In particolare, l’inapplicabilità del termine di decadenza annuale alla richiesta di dichiarazione di fallimento del socio occulto permette di avvantaggiare i soggetti creditori, che potranno godere di un periodo di tempo più lungo per individuare il soggetto che abbia compiutamente partecipato alla compagine sociale, ingerendosi nell’amministrazione della società, pur senza lasciare alcuna traccia formale del ruolo ricoperto.
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