Employment Law: important recent rulings by the Court of Cassation.

The Court of Cassation states the following principles:

1) The mere termination of the job performances is not sufficient to prove the dismissal but it is necessary that, even if orally communicated to the employee, the latter has to prove it.

2) If the fact challenged to the employee falls within the practice tolerated by the employer, the disciplinary dismissal must be considered unlawful due to lack of proportionality.

3) The judge can base his conviction on the existence of a just cause of dismissal also on evidences which derive from investigations carried out in criminal procedures.

4) An employee can ask the employer to have access to all his personal data, including those not having an objective nature, contained in documents that lead to business decisions.

5) In lack of social security  provision according to Article 10 of Insurance Law on compulsory insurance in the workplace, there is no insurance coverage, therefore civil liability for accidents at work falls on employer.

FATTI: 

1) Con sentenza n. 3822 del 8 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che il lavoratore subordinato che impugni il licenziamento per inosservanza della forma prescritta ha l’onere di provare che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti. “La mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova”.

2) Con l’ordinanza n. 1634 del 22 gennaio 2019 la Cassazione, confermando la statuizione del giudice di merito, ha affermato che la consapevolezza della società datrice di lavoro circa l’esistenza di determinate pratiche e la diffusione delle stesse in ambito aziendale, determina l’impossibilità di comminare un licenziamento per giusta causa nei confronti dei dipendenti che pongano in essere tali condotte. In questi casi vi sarebbe, infatti, un’evidente mancanza di proporzionalità tra il provvedimento espulsivo e la condotta contestata.

3) Con l’ordinanza n. 2436 del 29 gennaio 2019, la Cassazione ha affermato che il giudice del lavoro può porre a fondamento del proprio convincimento circa la sussistenza di una giusta causa di licenziamento anche prove c.d. atipiche, essendo il giudice civile legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti di indagini preliminari svolti ritualmente in sede penale. Nel caso di specie gli Ermellini hanno rigettato il ricorso presentato da una lavoratrice, ritenendo legittimamente accertata la sua colpevolezza in ordine ai fatti che avevano fondato il suo licenziamento per giusta causa, confermando pertanto la legittimità della sanzione espulsiva adottata dalla società.

4) Con l’ordinanza n. 32533 del 14 dicembre 2018, la Cassazione ha confermato la statuizione del Garante per la protezione dei dati personali, cui si era rivolto un lavoratore per vedersi riconoscere il diritto ad accedere a tutta la documentazione posta a fondamento di una sanzione disciplinare irrogata nei suoi confronti. Quest’ultimo aveva negato l’accesso ad alcuni documenti sostenendo che gli stesi fossero protetti dalla normativa sulla privacy. La Suprema Corte ha affermato che, in ossequio a quanto era previsto dall’art. 7 del codice della privacy (d.lgs. 196/2003) la cui ratio era quella di garantire la tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, un dipendente può chiedere l’accesso a tutti i propri dati personali, ivi inclusi quelli che, pur non avendo carattere oggettivo, siano contenuti in documenti che portano alle decisioni aziendali.

5) Con sentenza n. 4612 del 15 febbraio 2019 la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso presentato da un lavoratore, ha riconosciuto la responsabilità civile della società datrice di lavoro per il sinistro occorsogli. La Corte ha chiarito che l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per tutti i danni coperti da assicurazione obbligatoria, di cui all’art. 10 del Testo Unico delle assicurazioni obbligatorie sui luoghi di lavoro (D.p.r. 1124/65), in quanto istituto “strettamente inserito nel vigente sistema previdenziale – assicurativo, come uno dei contributi e prestazioni assicurative che opera all’interno e nell’ambito dell’oggetto dell’assicurazione”, non opera laddove non intervenga la copertura assicurativa. Sicché, pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità sarà disciplinata dalla normativa contenuta nel codice civile.

PERCHé é IMPORTANTE:

1) La mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a provare il licenziamento ma occorre che, seppur intimato oralmente al lavoratore, quest’ultimo ne fornisca la prova.

2) Laddove il fatto contestato al lavoratore rientri nella prassi tollerata dall’azienda, il licenziamento disciplinare irrogato al medesimo deve ritenersi illegittimo per difetto di proporzionalità.

3) Il giudice del lavoro può porre a fondamento del proprio convincimento circa la sussistenza di una giusta causa di licenziamento anche prove derivanti da indagini svolte in sede penale.

4) Il dipendente può chiedere al datore di lavoro l’accesso a tutti i propri dati personali, ivi inclusi quelli che, pur non avendo carattere oggettivo, siano contenuti in documenti che portano alle decisioni aziendali.

5) Nel caso in cui manchi la prestazione previdenziale di cui all’art 10 del Testo Unico delle assicurazioni obbligatorie sui luoghi di lavoro, non essendovi quindi copertura assicurativa, la responsabilità civile per gli infortuni occorsi ai dipendenti sul luogo di lavoro ricade sul datore di lavoro.

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