To protect the Made in Italy label, it is now deemed to be a crime its false indication, as so, is the selling of industrial products with mendacious labels, including the use of the Italian flag (Made in Italy), on garments manufactured abroad, more than likely confusing and/or misleading consumers as to the origin of the product.
IL FATTO:
La Cassazione penale, con la sentenza n. 10912 del 1aprile 2020, ha confermato la condanna inflitta al legale rappresentante di una società produttrice di capi di abbigliamento, per aver utilizzato etichette – “Made in Italy” – idonee ad ingenerare nel consumatore la convinzione che il prodotto fosse interamente realizzato in Italia invece che in Bulgaria, come indicato nella documentazione doganale.
Questo in sintesi quanto rilevato dalla Suprema Corte, che ha ritenuto corretta la qualificazione della condotta contestata ai sensi dell’art. 16 comma 4, d.l. n. 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla l. n. 166/2009.
La norma si riferisce, infatti, a tutte quelle indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, ossia esplicitamente alle indicazioni del tipo “100% Made in Italy”, “100% Italia”, “tutto italiano” o altre analoghe indicazioni idonee ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero anche alla apposizione di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione di un prodotto realizzato interamente in Italia . Dalla disposizione si ricava, infatti, che con “l’indicazione di vendita” debba intendersi qualunque segno esteriore o rappresentazione grafica idonei a essere apposti sul prodotto o sulla confezione di vendita o, comunque, suscettibili di divenire oggetto di comunicazione commerciale.
Nel caso deciso dalla Cassazione, un’etichetta presente sui capi, recante la scritta “Fabric Made in Italy” – con il termine inglese “fabric” inteso nell’accezione di “tessuto” – induceva a ritenere che la fabbricazione e dunque produzione in Italia, e non al solo fatto che il capo d’abbigliamento fosse composto di tessuto proveniente dall’Italia.
Oltre all’indicazione del tessuto, secondo gli Ermellini anche le ulteriori etichette riconducibili a ditte italiane ed il simbolo della bandiera tricolore italiana contribuivano ad ingenerare la convinzione nel consumatore che il prodotto fosse interamente italiano, in quanto “segni artatamente apposti per formare una fallace convinzione nel consumatore”.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La pronuncia della Corte di Cassazione esaminata giunge a difesa dei prodotti italiani, estendendo anche alle etichette che richiamano la bandiera italiana tricolore l’operatività della disposizione di legge che punisce severamente chi confonde i consumatori sull’origine dei prodotti, ad esempio apponendo etichette ingannevoli su prodotti realizzati all’estero. Ciò al fine di consentire la più ampia attuazione del dettato normativo, che prevede che tutti i prodotti tipici del Made in Italy – dagli agroalimentari ai tessili – siano interamente italiani, con ciò intendendo realizzato interamente in Italia “il prodotto o la merce, classificabile come Made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”.
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