Una recente sentenza del Tribunale di Roma, Sez. Lav., n. 4517 del 24 giugno 2016, ha fornito importanti spunti di riflessione sulle differenze, anche in merito all’onere probatorio, tra il licenziamento ritorsivo ed il licenziamento nullo per motivo illecito ai sensi dell’art. 1418 c.c.. Il tutto nell’ambito del nuovo regime delle tutele crescenti.
IL FATTO:
All’esito di due procedure di contestazioni disciplinari, una società di ristorazione sanzionava disciplinarmente un proprio dipendente con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per alcuni giorni, poiché ritenuto colpevole di aggressioni verbali nei confronti di colleghi e di essersi assentato dal lavoro senza motivo.
Il lavoratore impugnava le sanzioni disciplinari innanzi alla DTL e, il giorno seguente alla proposizione di detta impugnazione, il medesimo veniva licenziato.
Il lavoratore impugnava l’intimato licenziamento chiedendo al Tribunale che fosse accertata la nullità dello stesso in considerazione del suo carattere discriminatorio e ritorsivo o, in subordine, la sua illegittimità per la manifesta insussistenza dei fatti posti a fondamento. Con ogni conseguente statuizione di legge.
La società si difendeva sostenendo che il licenziamento era stato intimato prima della conoscenza dell’impugnativa delle sanzioni disciplinari e che, in ogni caso, lo stesso fosse proporzionato ai gravi comportamenti tenuti dal ricorrente.
Il Tribunale ha accolto il ricorso rilevando che il recesso datoriale fosse giustificato dai medesimi comportamenti già oggetto di precedenti sanzioni disciplinari, nonché dal comportamento successivamente tenuto dal lavoratore, che aveva impugnato tali sanzioni innanzi alla DTL.
Da ciò il chiaro comportamento ritorsivo della società, posto in essere in risposta al legittimo esercizio del diritto del lavoratore di impugnare le sanzioni disciplinare.
Per tali ragioni il Giudice riteneva che il licenziamento dovesse essere annullato.
Il Giudice ha evidenziato che i fatti sopra esposti sono utili anche ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio, sia che si voglia considerare il licenziamento ritorsivo come esplicitazione della categoria del licenziamento discriminatorio, sia che lo si voglia considerare quale licenziamento nullo per motivo illecito ai sensi del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., comma 2, e degli artt. 1345 e 1324 c.c.
Anche in quest’ultimo caso – ha aggiunto il Giudice – il più gravoso onere della prova dell’esistenza del motivo illecito deve ritenersi soddisfatto, in quanto il licenziamento datoriale, temporalmente connesso all’impugnazione delle sanzioni disciplinari e in assenza di altre concrete ragioni, costituisce forte presunzione di motivo illecito.
Conseguentemente, il Tribunale ha condannato la società alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, con condanna al pagamento dell’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, calcolata per ciascun mese intercorso tra la data del licenziamento e l’effettiva reintegra, in base a quanto disposto dall’art. 2 del d. lgs. n. 23/2015 (trova infatti applicazione la disciplina delle tutele crescenti essendo il rapporto di lavoro sorto dopo l’entrata in vigore della suddetta normativa).
PERCHE’ E’ IMPORTANTE:
La sentenza n. 4517/16 del Tribunale di Roma è una delle prime pronunce in tema di nullità del licenziamento nell’ambito della disciplina delle c.d. tutele crescenti, introdotte con il d. lgs. n. 23/2015.
La sentenza in esame riapre la strada, che sembrava preclusa per effetto del citato decreto, all’ipotesi di nullità del licenziamento per motivo illecito ai sensi del combinato disposto dell’art. 1418 c.c., comma 2, e degli artt. 1345 e 1324 c.c., il cui accertamento è generalmente ritenuto arduo, dovendo il Giudice non solo accertare l’inesistenza di una giusta causa di licenziamento ma anche la sussistenza di un motivo illecito determinante.
Il Tribunale di Roma sostiene, più in particolare, che l’onere probatorio dell’esistenza del motivo illecito, incombente sul lavoratore, possa essere assolto anche mediante il ricorso alla “prova per presunzioni”.
Nel caso specifico, il Giudice ha ritenuto che costituisca forte presunzione di motivo illecito la circostanza che la scelta del datore di lavoro di licenziare il dipendente sia stata strettamente connessa con l’impugnazione, da parte di quest’ultimo, delle sanzioni disciplinari e con la mancanza di altre concrete ragioni poste a fondamento del provvedimento espulsivo.
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