It is lawful for the shareholder to withdraw from a joint-stock company as a result of the change in the percentage of profits that can be distributed according to the social statute.
IL FATTO:
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13845 del 22 maggio 2019, pur nell’ambito di una interpretazione restrittiva dell’art. 2437 c.c., tesa a non incrementare le cause che legittimano l’uscita dalla società, ha riconosciuto il diritto di recesso dei soci di S.p.a. contrari alla delibera assembleare di modifica dello statuto mediante la quale si dispone la destinazione di una parte degli utili di esercizio alla formazione di una riserva di patrimonio netto, ciò in quanto tale deliberazione – limitando la distribuzione del dividendo ai soci – rientra tra le “modificazioni dello statuto concernenti i diritti […] di partecipazione”.
In particolare, il caso giunto all’attenzione dei giudici di legittimità era quello di una fusione per incorporazione di una società – il cui statuto consentiva la distribuzione dell’utile previo accantonamento del cinque per cento a riserva legale – in altra società – il cui statuto, diversamente, consentiva di distribuire i dividendi solo previa destinazione a patrimonio netto di una rilevante parte dell’utile di esercizio (nel dettaglio, si trattava di destinare a riserva legale il dodici per cento dell’utile di esercizio e a riserva straordinaria il quaranta per cento dell’utile di esercizio).
La Suprema Corte, quindi, ha riconosciuto ai soci della società incorporata il diritto di recedere ex art. 2437, co. 1, lett. g), c.c., in quanto costoro, divenendo soci della società incorporante, in considerazione dell’incremento della percentuale di utili da destinare a riserva e della corrispondente diminuzione della quota di utili distribuibile, subirebbero una modifica dei propri “diritti di partecipazione”.
Osserva la Suprema Corte, nonostante il fatto che la maturazione dell’utile di esercizio non determini un diritto individuale del singolo azionista a riceverne una porzione pari alla entità della rispettiva quota di partecipazione al capitale sociale (essendo la distribuzione dell’utile in ogni caso rimessa alla decisione dell’assemblea), una clausola statutaria come quella in commento, che disciplina la distribuzione dell’utile direttamente nello statuto, ha l’effetto di “limitare la stessa libertà dell’assemblea ordinaria di deliberare sul punto”, con ciò comprimendo direttamente il diritto agli utili dei singoli azionisti.
La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento non prende posizione in merito alla nozione di “diritti di partecipazione” ai fini dell’art. 2437 comma 1, lett. g), c.c., limitandosi a precisare che “non è dubitabile che l’espressione si riferisca in ogni caso a diritti patrimoniali, perché tali sono quelli implicati dal diritto di partecipare”. La Suprema Corte, tuttavia, non chiarisce se tra i “diritti di partecipazione” del socio debbano essere ricompresi anche i “diritti amministrativi”, che, secondo molti Autori, sarebbero parte del diritto di partecipazione al pari di quelli patrimoniali.
PERCHÉ È IMPORTANTE:
La Corte di Cassazione si pronuncia in materia di recesso ex art. 2437, comma 1, lett. g), c.c., riconoscendo il diritto di exit del socio nel caso di introduzione nello statuto di una clausola che imponga la destinazione obbligatoria a riserva di una percentuale annua dell’utile di esercizio. La pronuncia offre uno spunto di riflessione in merito a quale significato debba attribuirsi all’espressione “modificazioni del diritto di voto o di partecipazione” e, conseguentemente, circa il perimetro applicativo di tale disposizione.
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