La Corte europea dei diritti umani ha ribadito l’importanza della preventiva informazione che il datore di lavoro deve fornire al lavoratore in merito ai possibili controlli dei dispositivi aziendali utilizzati da quest’ultimo.
IL FATTO:
La questione posta all’attenzione della Corte di Strasburgo riguarda una vicenda verificatasi nel 2007 in Romania, quando un lavoratore era stato licenziato dal proprio datore di lavoro a seguito del controllo effettuato sulla posta elettronica aziendale, all’esito del quale era emerso un uso della stessa anche per scopi personali.
Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento dinanzi le competenti autorità giudiziarie rumene, che avevano però dato ragione al datore di lavoro, ritenendo che quest’ultimo avesse agito nel rispetto della procedura prescritta dalla normativa vigente in materia di licenziamenti.
La questione era stata portata dal lavoratore all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel gennaio 2016, aveva dato ragione alla società, rilevando che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e ritenendo che i tribunali rumeni avevano correttamente bilanciato il diritto alla privacy del lavoratore e gli interessi del datore di lavoro.
Più in particolare, la Corte aveva sostenuto che, benché la corrispondenza privata del lavoratore fosse stata violata, l’attività di monitoraggio della posta elettronica era stata comunque ragionevole e idonea a motivare la procedura disciplinare avviata dal datore di lavoro.
Di fronte a questa decisione il lavoratore non si è dato per vinto ed ha richiesto che la vicenda fosse portata all’attenzione della Grande Camera della Corte di Strasburgo, la quale ha ribaltato la decisione del primo grado.
La Corte ha, infatti, ritenuto che i tribunali rumeni non avevano adeguatamente protetto i diritti del lavoratore, in primo luogo perché non avevano preso in considerazione il fatto che il datore di lavoro non avesse dato al lavoratore alcuna preventiva informazione sull’attività di monitoraggio della posta elettronica, né sulla possibilità che la società potesse avere accesso al contenuto dei messaggi.
Inoltre, l’argomento utilizzato dal tribunale del primo grado rumeno, ossia il potenziale danno che il sistema IT della società avrebbe potuto subire nel caso in cui il lavoratore avesse eseguito operazioni illegali online, è solo teorico, non essendovi alcun elemento dal quale possa emergere un reale e concreto rischio in tal senso.
Infine, secondo la Corte i tribunali rumeni non avevano neanche sufficientemente verificato se il datore di lavoro avesse potuto raggiungere il medesimo scopo attraverso metodi meno invasivi rispetto ai controlli effettuati.
La Corte ha conseguentemente accertato la violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
PERCHE’ E’ IMPORTANTE:
In Italia, la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo s’inserisce in un contesto in cui il dibattito sui controlli a distanza dei lavoratori è sempre acceso ed offre spesso spunti di riflessione. In particolar modo dopo la riforma, ad opera del Jobs Act, dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che ha eliminato l’obbligo del preventivo accordo sindacale (o dell’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro) con riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
La realtà è che bilanciare l’interesse dei lavoratori alla tutela della loro privacy e gli interessi organizzativi, produttivi e di controllo delle aziende, è un’operazione complessa in un mondo sempre più tecnologico ed informatizzato.
Probabilmente la decisione della Corte non aggiunge nulla di nuovo in merito agli adempimenti societari in tema di controlli dei lavoratori, ma evidenzia come sulla materia in questione vi sia sempre una particolare sensibilità ed attenzione.
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