Derivati impliciti e contratto di leasing

close up view of  contract  form on the desk in the officeSecondo una recente pronuncia del Tribunale di Udine la clausola di indicizzazione al tasso di cambio contenuta in un contratto di leasing immobiliare deve essere qualificata come uno strumento finanziario derivato, dotato di una causa propria ed autonoma rispetto al contratto di leasing vero e proprio a cui accede (Trib. Udine 15 maggio 2015, n. 711).

IL FATTO:

La vicenda ha ad oggetto una particolare tipologia di contratto di leasing immobiliare in cui all’interno della struttura tradizionale dello schema contrattuale in questione, sono state apposte due clausole di indicizzazione dei canoni di leasing: la prima al tasso di interesse (Libor tre mesi) e la seconda al tasso di cambio Euro/Chf.

Nella sentenza in commento il giudice è stato chiamato ad accertare se i meccanismi di indicizzazione al tasso Libor e al rischio di cambio Euro/Chf fossero compatibili con la struttura causale del contratto di leasing ovvero se l’apposizione di queste previsioni avesse di fatto riqualificato la natura causale dello stesso, mutandone il tipo in una figura negoziale con finalità speculativa e ad alto rischio.

A parere del Tribunale di Udine, sia la clausola di indicizzazione al tasso d’interesse che quella al tasso di cambio, configurano due distinte tipologie di contratti derivati embedded al contratto di leasing il cui funzionamento determina uno scambio di flussi monetari regolato per differenziali che si affianca al meccanismo di remunerazione tipico del contratto di leasing.

In particolare, secondo il giudice de quo la prima clausola introduce uno schema negoziale identico a quello degli interest rate swap in quanto i flussi generati dall’indicizzazione al tasso Libor costituiscono l’oggetto di un separato contratto a termine – con scadenza coincidente con quella prevista per le singole rate di leasing – con sottostante quel determinato tasso di interesse.

Mentre la clausola di indicizzazione al tasso di cambio rappresenta – conformemente all’opinione espressa dall’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF – Collegio di Milano, Decisione n. 3645 dell’8 luglio 2013) – un quantity-adjusting option, ossia un’opzione il cui regolamento ha luogo in una valuta diversa da quella in cui è denominata l’attività fondamentale su cui l’opzione insiste.

Secondo il Tribunale di Udine vi sarebbe, però, una sostanziale differenza tra le due disposizioni: quella che fa riferimento al tasso di interesse, essendo accessoria al contratto di leasing e ad esso intrinsecamente collegata, non muterebbe la causa di finanziamento propria del contratto di locazione finanziaria e quindi per essa continuerebbe ad applicarsi unicamente la disciplina in materia di trasparenza bancaria contemplata dal D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (t.u.b.) e dai relativi provvedimenti di Banca d’Italia.

Diversamente, per quanto attiene la clausola che rinvia al tasso di cambio, possedendo quest’ultima una natura più spiccatamente finanziaria ed ultronea rispetto al leasing, avrebbe dovuto imporre alla banca l’osservanza degli obblighi informativi – passivi e attivi – disciplinati dal D. Lgs. 24 febbraio 1998 (t.u.f.) e dai regolamenti Consob d’attuazione, pena la risoluzione del contratto derivato in questione.

In virtù dell’inadempimento da parte della banca agli obblighi regolamentari sanciti dalla normativa finanziaria, il Giudice ha dichiarato risolto il contratto di leasing nella parte in cui era prevista l’indicizzazione al tasso di cambio.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

Accogliendo la tesi espressa dal Tribunale di Udine – secondo cui il contratto di leasing indicizzato al tasso di interesse e al tasso di cambio sarebbe scomponibile a tutti gli effetti in un contratto di leasing e in due contratti derivati collegati ciascuno dotato della propria causa negoziale e soggetti a regole e ad adempimenti normativi di diversa natura – gli intermediari finanziari sarebbero dunque tenuti a rispettare contemporaneamente le regole di condotta previste dal t.u.b. in tema di contratti bancari e quelle contenute nel t.u.f. per quanto riguarda gli strumenti finanziari.

Nonostante le argomentazioni addotte dalla Corte suscitino più di una perplessità, gli intermediari finanziari che erogano finanziamenti in cui siano previste clausole di indicizzazione al rapporto di cambio, dovranno attentamente valutare il rischio di non conformità del prodotto in questione rispetto alla disciplina in materia finanziaria, circostanza questa da cui potrebbe scaturire un contenzioso seriale con effetti potenzialmente significativi per la stabilità dell’intermediario coinvolto.

Per non perderti le novità e gli approfondimenti di Tonucci & Partners, iscriviti alle nostre newsletter

    Dichiaro di aver letto e compreso la Privacy Policy

    No Comments
    Leave a Reply