Conflitto d’interessi: la S.p.A. deve provare il danno.

La società per azioni che agisce, ex art. 2391 c.c., per ottenere il risarcimento dei danni cagionati  dell’amministratore in conflitto d’interessi è tenuta a provare il danno ingiusto patito, nonché il nesso di causalità con la condotta incriminata.

Questo è quanto ha sancito la Corte di Cassazione con l’ordinanza  n. 14072 dell’1 giugno 2018.

IL FATTO:

La vicenda nasce dal giudizio instaurato da una società per azioni avverso il proprio amministratore delegato, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta dello stesso. La società attrice, in particolare, lamentava la violazione, da parte del proprio rappresentante, degli obblighi informativi previsti all’art. 2391 c.c., il quale, al primo comma, prevede che “L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società [..]; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale [..]“. Il quarto comma della medesima disposizione, inoltre, sancisce che “L’amministratore risponde dei danni derivanti alla società dalla sua azione od omissione“.

Ebbene, secondo quanto riferito dalla società, nel caso di specie l’amministratore avrebbe taciuto il vincolo di parentela sussistente con un membro dell’organo di consulenza cui la società aveva affidato l’incarico di vagliare l’opportunità di un’operazione di finanziamento (nei confronti di società estere).

In primo e secondo grado le pretese attoree venivano rigettate. Il Tribunale di Trieste, infatti, affermava che la società non aveva fornito la prova né del danno patito, né del nesso di causalità intercorrente tra il lamentato danno e la condotta tenuta dal proprio amministratore. Elementi che, invece, avrebbero dovuto essere dimostrati considerata la natura della responsabilità di cui all’art. 2391 c.c., la quale certamente è riconducibile alla più generale azione di responsabilità prevista dall’art. 2392 c.c. (relativa alla responsabilità degli amministratori nei confronti della società). La Corte d’Appello, adita in sede di impugnazione, dichiarava l’inammissibilità dell’appello.

La società, pertanto, viste deluse le proprie aspettative risarcitorie, si rivolgeva alla Corte di Cassazione, sostenendo che la norma di cui all’art. 2391 c.c. prevede una fattispecie di responsabilità autonoma rispetto a quella disciplinata dall’art. 2392 c.c.. In particolare, la ricorrente riteneva che “l’ipotesi di responsabilità per omesso adempimento degli obblighi informativi comporterebbe, a differenza del modello generale di responsabilità nei confronti della società, un’inversione dell’onere della prova quanto alla presunzione di rilevanza causale della condotta rispetto al danno subito dalla società“.

All’esito del giudizio di legittimità, tuttavia, la Suprema Corte ha confermato quanto già statuito, in primo grado, dal Tribunale, e, pertanto, ha rigettato il ricorso proposto dalla società. Gli ermellini, infatti, con il provvedimento in esame, hanno affermato che il dato testuale della norma invocata non permette di rilevare alcuna inversione dell’onere della prova, il quale, dunque, rimane in capo al soggetto danneggiato (sia per quanto concerne la sussistenza del danno, sia con riferimento al nesso di causalità tra il danno e la condotta incriminata).

PERCHÉ È IMPORTANTE:

L’ordinanza in esame risulta di notevole interesse poiché, con la stessa, la Corte di Cassazione interviene a fare chiarezza circa la particolare ipotesi di responsabilità, prevista dall’art. 2391 c.c., derivante dall’omessa comunicazione, da parte dell’amministratore, di un interesse (non necessariamente in conflitto con quello sociale) in una determinata operazione.

Ebbene, la Suprema Corte ha sancito che tale fattispecie è soggetta alle ordinarie regole in tema di onere della prova, e, pertanto, spetta alla società dimostrare tanto la sussistenza del danno, quanto il nesso di causalità tra lo stesso e la condotta dell’amministratore.

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