Ci si chiede poi quali potrebbero essere le conseguenze per l’imposizione diretta delle imprese britanniche o che hanno sede nel Regno Unito. Non si assisterà ad alcun vuoto normativo poiché continuerà ad applicarsi il diritto dell’Unione Europea e quindi anche le norme tributarie comunitarie sino alla stipula di un accordo sull’uscita dello Stato membro così come prevede il Trattato UE (articolo 50).
La prima norma speciale che riguarda le imprese comunitarie è la direttiva “madre-figlia” (direttive 90/435/Ce, 2011/96, 2015/121), la cui finalità è quella di garantire la neutralità fiscale nei rapporti dei gruppi societari attraverso l’esenzione da imposizione fiscale e comunque da ritenute alla fonte dei dividendi distribuiti a società controllate o collegate.
L’obbiettivo di questa direttiva era ed è quello di eliminare la doppia imposizione giuridica eliminando quindi vincoli tributari che limitino la costituzione e lo sviluppo di gruppi societari nei Paesi membri UE. I requisiti per ottenere l’esenzione sono: partecipazione minima al 10% tra società di capitali; detenzione minima di due anni riducibile dagli Stati membri; residenza delle società madre e figlia nella UE e assoggettazione nei rispettivi Stati membri all’imposizione nazionale sulle imprese residenti.
Un’altra normativa europea molto utilizzata dai gruppi societari con sede nel Regno Unito è la direttiva 49/03 relativa alla disciplina degli interessi e delle royalties infragruppo. La direttiva se si rispettano i requisiti precedentemente indicati nella direttiva “madre-figlia”, ad eccezione della percentuale di partecipazione minima che sale al 25%, prevede l’esenzione totale dalla tassazione sui pagamenti sugli interessi da finanziamenti e canoni da royalties effettuati da una società residente a una controllata o collegata in un altro Stato membro.
La versione integrale del dossier Brexit è consultabile e/o scaricabile qui.
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