L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea richiederà tempo e soprattutto un notevole sforzo sul piano della regolazione normativa per ricostruire, in modo del tutto assoluto, il sistema della tassazione indiretta degli scambi.
Sul piano dell’imposizione indiretta, fintantoché il Regno Unito resterà nell’ambito dell’Unione Europea, l’IVA inglese infatti continuerà a seguire i principi generali dettati dalle Direttive comunitarie recanti il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto. In estrema sintesi, secondo questi principi, le cessioni di beni a titolo oneroso tra operatori residenti in Stati membri diversi costituiscono cessioni intracomunitarie e di regola vengono tassate con l’applicazione dell’IVA “a destino”. I servizi prestati seguono la regola posta, nel caso del “Business to Business”, dell’applicazione dell’IVA nel Paese del committente soggetto passivo di imposta.
Il tessuto normativo ispirato alle Direttive comunitarie sugli scambi intracomunitari quindi potrà divenire non più applicabile e questo comporterà per gli operatori italiani una modifica sulla valutazione del mercato inglese alla luce delle nuove disposizioni che troveranno ingresso.
Il cambiamento sarà indubbiamente rilevante: le cessioni di beni tra soggetti inglesi e italiani saranno qualificabili come importazioni/esportazioni, per cui, ad esempio, le imprese italiane che acquisteranno le merci da un operatore inglese assolveranno l’IVA in dogana; i servizi di regola non subiranno modifiche sostanziali nel criterio di riferimento, ma si tratterà, per lo più, di operazioni escluse da IVA per difetto del requisito di territorialità, per le quali si abbandonerà il sistema di integrazione della fattura per passare all’autofattura e al sistema del reverse charge.
L’uscita dall’Unione del Regno Unito (quindi non solo della Gran Bretagna, ma anche i relativi Territori fiscalmente compresi quali, ad esempio, l’Isola di Man) inciderà anche sul piano delle procedure, che prima erano semplificate con uniformità comunitaria di documentazione.
Del pari, anche la documentazione a corredo della movimentazione dei beni cambierà in quanto si riproporrà l’esigenza del documento di accompagnamento per scortare le merci in movimento destinate ai territori della Gran Bretagna.
Non ultimo, occorrerà tenere conto del peso dei dazi e diritti doganali a cui soggiaceranno le merci provenienti dai territori inglesi. Tutto questo avrà una ripercussione che, ovviamente, non è solo sociale, ma per quello che interessa, in termini di incremento dei costi di merci e servizi per le imprese.
Un ultimo cenno alle aliquote IVA. In un’ottica di armonizzazione comunitaria, il Libro Bianco del 1985 prevedeva una razionalizzazione dei tassi di imposta (per tutti gli Stati membri un’aliquota ordinaria non inferiore al 15% e non superiore al 25%, e una ridotta, per alcune operazioni, purché non inferiore al 5%): la finalità era di evitare gli effetti distorsivi della concorrenza nel commercio intracomunitario che avrebbero potuto generarsi per effetto di differenziazioni delle aliquote di imposta che, a parità di imponibile, avrebbero così irrimediabilmente inciso sul prezzo finale al consumo del bene.
La non soggezione del Regno Unito all’obbligo di adeguamento e rispetto delle aliquote IVA potrà condizionare il mercato, con effetti percepibili dalle imprese italiane e dai consumatori.
Rimane al momento da seguire, e studiare, con attenzione il regime transitorio e lo sviluppo di eventuali accordi bilaterali che, in un’ottica di “bene comune”, saranno negoziati per evitare che l’uscita post-Brexit danneggi, sul piano fiscale e quindi anche economico, le relazioni commerciali tra i Paesi.
La versione integrale del dossier Brexit è consultabile e/o scaricabile qui.
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