Autotutela amministrativa ed energie rinnovabili

Archivio cartaceoDi seguito l’articolo pubblicato in data 10 dicembre 2015 sulla rivista online Diritto Bancario nel quale sono state esaminate le modifiche apportate dalla L. n. 124/2015 con riguardo all’esercizio dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione, con particolare attenzione ai risvolti della riforma quando l’autotutela ha ad oggetto provvedimenti conseguiti da impianti a fonti rinnovabili, la cui installazione e gestione spesso coinvolge più di un operatore.

 

Autotutela amministrativa (alla luce delle modifiche della Legge n. 124/2015) ed energie rinnovabili

1. Con il concetto di autotutela amministrativa decisoria si suole fare riferimento al potere di una pubblica amministrazione (P.A.) di modificare o annullare un proprio provvedimento già adottato a seguito di un procedimento di riesame (c.d. “procedimento di secondo grado”) dal quale scaturisce un nuovo provvedimento che assume, il più delle volte, le forme della revoca o dell’annullamento d’ufficio[1].

Il Legislatore del 2005 (Legge 11 febbraio 2005, n. 15 che ha inserito il Capo IV-bis alla Legge n. 241/1990) ha fissato quelli che sono i presupposti legittimanti l’adozione da parte della P.A. dei provvedimenti “di secondo grado”.

Sinteticamente si può affermare che, mentre la revoca di cui all’articolo 21-quinquies della L. n. 241/1990 opera per ragioni di merito (i.e. sopravvenuti motivi di pubblico interesse / mutamento della situazione di fatto / nuova valutazione dell’interesse pubblico originario) ed ha per questo motivo efficacia ex nunc, oltre ad essere alla stessa connesso l’obbligo della P.A. di indennizzare il soggetto dalla stessa danneggiato, l’annullamento d’ufficio previsto all’articolo 21-nonies (ampiamente modificato, come si vedrà, dalla L. n. 124/2015) opera per vizi di legittimità (i.e. violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza), previa comparazione degli interessi coinvolti, con efficacia ex tunc.

Differiscono ontologicamente[2] dal potere di autotutela della P.A. (meritando nondimeno un’analisi allo stesso congiunta) i poteri c.d. inibitori di cui all’articolo 19 della L. n. 241/1990. Questi attengono ad attività “liberalizzate” che possono essere iniziate dal privato fin dal momento della presentazione della segnalazione (rectius: “Segnalazione certificata di inizio attività – SCIA”) all’amministrazione competente. Quest’ultima conserva per un limitato periodo di tempo il potere di vietare la prosecuzione dell’attività e di ordinare la rimozione di eventuali effetti dannosi dalla stessa arrecati, salva la possibilità di conformazione a norma dell’attività medesima da parte del privato.

Spesso l’esercizio dei suddetti poteri coinvolge anche i soggetti operanti nel settore delle energie rinnovabili, per questo titolari di impianti la cui costruzione e gestione è stata autorizzata con provvedimento espresso (i.e. autorizzazione unica) ovvero implicitamente assentita con l’inutile decorso del termine per vietare l’intervento di cui alla procedura abilitativa semplificata (c.d. “PAS”) prevista dall’articolo 6 del D.lgs. n. 28/2011.

Peraltro l’adozione di provvedimenti in autotutela o inibitori ha in questo settore importanti ulteriori effetti. Difatti, la revoca o l’annullamento di un titolo autorizzativo/abilitativo (espresso o tacito) di un impianto ha conseguenze dirette sugli incentivi erogati dal GSE che, in assenza di esso, è tenuto a comunicare all’operatore interessato la decadenza dagli stessi ed il recupero delle somme già erogate. Come si avrà modo di ulteriormente descrivere di seguito, l’effetto “a cascata” dei provvedimenti di autotutela o inibitori (che costituisce un rischio oggetto di esame da parte dei finanziatori) non si conclude qui. La costruzione e la gestione di un impianto a fonte rinnovabile, soprattutto di importanti dimensioni e potenza, rappresentano infatti attività assistite spesso da complesse operazioni di finanziamento privato, dove il c.d. cash flow – alimentato anche dalla costante erogazione degli incentivi erogati dal GSE ai quali l’impianto ha diritto – costituisce il più importante elemento per la bancabilità dell’intero progetto.

2. La disciplina dell’esercizio dei poteri di autotutela e dei poteri c.d. inibitori della pubblica amministrazione è stata oggetto, come si è accennato, di una “rivisitazione” per il tramite delle modifiche apportate dalla Legge 7 agosto 2015, n. 124 (nota anche come Legge “Madia”) alla legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241/1990).

La novità di maggiore impatto appare quella rinvenibile all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 che nella sua formulazione attuale, in vigore dal 28 agosto 2015, fissa il termine massimo di 18 mesi ai fini della legittima adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio. Il Legislatore si è, altresì, premurato di chiarire la decorrenza di detto periodo: “dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20” (i.e. per il tramite di silenzio assenso). Permane, ad ogni modo, il riferimento alla necessità che la P.A. provveda in tal senso entro “un termine ragionevole” ben potendo questo risultare inferiore a quello massimo stabilito (cioè ai 18 mesi). Rimangono, poi, fermi gli altri requisiti individuati dal legislatore e dalla giurisprudenza e che devono concorrere per l’esercizio legittimo del potere di annullamento d’ufficio. Questi, in estrema sintesi, attengono ai vizi dei quali il provvedimento oggetto di annullamento deve essere affetto ed alla necessità per la P.A. di un previo contemperamento tra l’interesse pubblico (attualizzato al momento dell’adozione del provvedimento di secondo grado) e quello dei destinatari e degli eventuali controinteressati nel rispetto, peraltro, delle garanzie procedimentali necessarie.

Il comma 2-bis aggiunto all’articolo 21-nonies dalla L. n. 124/2015 prevede però un’eccezione in forza della quale è possibile l’esercizio dell’annullamento d’ufficio anche decorso il termine di 18 mesi: i provvedimenti conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono infatti essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi (oltre all’applicazione delle sanzioni di cui al D.P.R. n. 445/2000), per quanto sia stato sottolineato[3] il difficile raccordo con la disciplina di cui al D.P.R. n. 445/2000 (che all’articolo 75 già stabilisce la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento ottenuto sulla base di dichiarazione non veritiera).

Una modifica connessa a quella del termine massimo (di 18 mesi) imposto per l’annullamento d’ufficio è riscontrabile al secondo comma dell’art. 21-quater. Ad opera del Legislatore del 2015, la sospensione dell’efficacia e dell’esecutività del provvedimento, infatti, può dirsi legittima solo ove disposta e/o perdurante per un massimo di 18 mesi.

Notevoli correzioni sono state poi apportate dalla L. n. 124/2015 anche alla disciplina della SCIA e dei connessi provvedimenti inibitori adottabili dalla P.A..

Nella versione attualmente vigente dell’articolo 19 della L. n. 241/1990, se da un lato rimane fermo il potere della P.A. di adottare, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi prodotti in caso di accertata carenza dei requisiti richiesti, dall’altro risulta ampiamente rivista la disciplina della conformazione a norma dell’attività oggetto di segnalazione. Difatti, qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa dal privato ed i suoi effetti alla normativa vigente, il comma 3 dell’articolo 19, come riformato, prescrive che l’amministrazione competente con atto motivato debba invitare il privato a provvedere (in tal senso), disponendo la sospensione dell’attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine per l’adozione di queste ultime non inferiore a 30 giorni. All’ultimo capoverso del medesimo comma è previsto, poi, che in caso di mancata adozione delle misure indicate dalla P.A. nel termine dalla stessa fissato, l’attività oggetto di segnalazione si intende vietata.

Il Legislatore del 2015 ha inoltre eliminato dal comma 3 dell’articolo 19 appena analizzato ogni riferimento specifico alle conseguenze derivanti dalla falsità delle dichiarazioni rese in sede di presentazione di SCIA. Queste sono state, difatti, trasferite all’articolo 21 della L. n. 241/1990 che reca le disposizioni sanzionatorie connesse alle dichiarazioni mendaci o alle false attestazioni in sede di SCIA o di istanza accoglibile con silenzio assenso.

L’attuale formulazione del comma 4 dell’articolo 19 può dirsi rappresentativa, allo stesso tempo, di un punto di congiunzione e di un segnale di diversità, tra i poteri inibitori (di cui al comma 3 dell’art. 19) e i poteri di autotutela (sub specie annullamento d’ufficio). Difatti con il comma 4 dell’articolo 19 citato, il Legislatore del 2015, modificando la disciplina antecedente – che affermava la possibilità per la P.A., ricorrendone i presupposti, di esercitare i poteri di autotutela (revoca e annullamento d’ufficio) in caso di superamento del termine di 60 giorni previsto per l’adozione dei provvedimenti inibitori – consente alla P.A. di adottare solo provvedimenti inibitori (i.e. divieto di prosecuzione dell’attività e ordine di rimozione di eventuali effetti dannosi e, dovrebbe ritenersi, obbligo di conformazione), e non di autotutela, purché però ricorrano, anche nel caso di esercizio di poteri inibitori, le condizioni (rectius: presupposti e modalità) proprie dell’annullamento d’ufficio.

Il Legislatore del 2015, quindi, in riferimento all’esercizio dei poteri inibitori e di autotutela, pare aver (almeno in parte) ovviato alla problematica sottolineata anche da autorevole dottrina[4] che affliggeva le attività c.d. “para-liberalizzate” (sottoponibili cioè a SCIA o a silenzio assenso) le quali permanevano “a tempo indeterminato” esposte alle medesime sanzioni previste a carico di coloro che consapevolmente avevano agito in assenza di titolo. Fermo, infatti, il termine (di 60 giorni) per esercitare i provvedimenti inibitori, la P.A. che ravvisi la possibilità di conformare l’attività avviata dal privato a legittimità è tenuta previamente (ad avviso di chi scrive, anche in applicazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità) a segnalare le misure da adottare a tal fine ed a fissare un termine, decorso infruttuosamente il quale, l’attività (così come segnalata) si intende vietata. Oltre il termine di 60 giorni previsto al terzo comma, la P.A. conserva la possibilità di adottare provvedimenti (comunque) inibitori solo in presenza dei presupposti e con le modalità dettate dall’articolo 21-nonies per l’annullamento d’ufficio. La P.A. dovrà quindi contemperare le ragioni di interesse pubblico con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati all’attività segnalata, riscontrare “l’illegittimità” della stessa e provvedere ad esercitare i poteri inibitori entro  il termine ultimo di 18 mesi, trascorsi i quali non sarà più permesso all’amministrazione di intervenire sull’attività oggetto di SCIA, se non in caso di false o mendaci dichiarazioni.

3. Vi è da chiedersi, quindi, se la riforma su sinteticamente descritta vada nel senso di liberare gli operatori economici e, per quanto in questa sede maggiormente preme analizzare, i soggetti operanti nel settore delle energie rinnovabili (ma anche in altri settori) dall’incertezza riguardante l’effettiva validità (tenuta) e conseguente spendibilità di un titolo autorizzativo (ottenuto con provvedimento tacito o espresso) e consenta ad essi di poter confidare in una certezza e stabilità dei rapporti negoziali e finanziari che si creano a valle di detti titoli. sustainable energy

Come si accennava, infatti, la realizzazione di un impianto ad energia rinnovabile risulta essere un’attività complessa sotto il punto di vista tecnico, giuridico e finanziario, spesso incompatibile con gli strumenti di finanziamento cui fanno tradizionalmente ricorso le imprese nel corso dello svolgimento della propria attività (aumenti di capitale, prestiti soci, e simili)[5]. L’istituto della finanza di progetto ha nella pratica dimostrato di costituire un valido strumento per la realizzazione di opere difficilmente finanziabili secondo gli schemi tradizionali. Autorevole e classica dottrina di stampo anglosassone[6] ha cercato di individuare i caratteri tipici e ricorrenti delle operazioni di project financing. Essi possono essere così riassunti: da un lato, garanzia del rimborso del finanziamento per la costituzione o per lo sfruttamento economico di un diritto (risorsa naturale o altro asset) essenzialmente mediante flussi reddituali prodotti dal relativo progetto (c.d. cash-flow) e, dall’altro, ricorso molto limitato a contribuzioni di capitale di rischio. Il progetto viene ad identificarsi mediante società veicolo (o di progetto) con un’iniziativa economica ben determinata capace di generare, appunto, cash flow sufficiente non solo a rimborsare il debito, ma anche a garantire una sufficiente remunerazione del capitale investito e del rischio assunto dai finanziatori, secondo un determinato piano finanziario (c.d. business plan)[7].

Un’operazione di finanza di progetto vede la costante presenza, accanto al contratto di finanziamento, di un c.d. “security package” cioè il “pacchetto di garanzia” del finanziamento, destinato ad essere attivato nel caso di anomalie nel funzionamento del progetto e quindi del finanziamento stesso. Le diverse garanzie facenti parte del “pacchetto” non sono altro che garanzie che tradizionalmente assistono il credito bancario. Tuttavia, nella forma del “security package” le stesse risultano tra loro strettamente collegate.

Molto di frequente, poi, questo pacchetto standard di garanzie viene rafforzato mediante la concessione di garanzie specifiche quali, nel settore delle energie rinnovabili, il contratto di cessione dei crediti derivanti dagli incentivi erogati dal GSE. Al fine di agevolare la bancabilità delle operazioni finanziarie aventi ad oggetto la costruzione e gestione di impianti a fonte rinnovabile, il GSE ha infatti previsto la possibilità di cedere i crediti vantati nei confronti del Gestore in garanzia a terzi (istituti di credito).

Si comprende allora come l’adozione di provvedimenti in autotutela da parte della P.A. che intervengano dopo un lungo lasso di tempo sui titoli autorizzativi di un impianto i quali costituiscono il presupposto per la percezione degli incentivi da parte del GSE che, a loro volta,  hanno costituito garanzia del finanziamento alla base del progetto, rappresenta in sostanza un rischio che non solo compromette l’intera struttura del progetto, ma danneggia tutti i numerosi soggetti coinvolti (promotori, sponsor, investitori) nel progetto stesso.

Per questo motivo, ad avviso di chi scrive, seppure non possa ritenersi rivoluzionaria, una riforma – come quella contenuta nella L. n. 124/2015 – che fissa tempi certi (anche se ancora lunghi) oltre i quali alla P.A., salvi casi eccezionali, non sia più consentito l’esercizio dei poteri di autotutela o di quelli inibitori, deve essere salutata con favore, potendo quantomeno gli operatori coinvolti ponderare a monte del progetto (qualunque esso sia, non solo un impianto a fonte rinnovabile) il periodo di tempo in cui sussiste il rischio dell’instabilità e dell’incertezza del titolo autorizzativo conseguito.

Avv. Alberto Fantini e Avv. Lucilla Musu, Tonucci & Partners

 

 

[1] Cfr. “Autotutela. Diritto amministrativo” in Enciclopedia online Treccani rinvenibile al sito http://www.treccani.it/enciclopedia/autotutela-diritto-amministrativo/

[2] Con l’inserimento del comma 6-ter all’articolo 19 della L. n. 241/1990 (ad opera del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 conv. in L. 14 settembre 2011, n. 148) è stata definitivamente sopita la contrapposizione, anche giurisprudenziale, tra la c.d. “tesi pubblicistica” e la c.d. “tesi privatistica”, per il tramite della manifestazione di volontà espressa dal Legislatore del 2011 di non attribuibilità alla SCIA (ed ugualmente alla DIA) della valenza di provvedimento tacito che risulta, quindi, atto privato non impugnabile.

[3] Cfr. M. LIPARI, “La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi”, Federalismi.it, n. 20 del 2015, p. 19 e ss.

[4] Cfr. M.A. SANDULLI, “Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi”, Federalismi.it, n. 14/2015, p. 3 e ss.

[5] Cfr. E. PICOZZA, S.M. SAMBRI, “Il diritto dell’energia”, Trattato di diritto dell’economia, Volume X, CEDAM, 2015, pp. 667 e ss.

[6] Cfr. P.K. NEWITT, “Project financing”, Laterza, 1987

[7] Cfr., ut supra, E. PICOZZA, S.M. SAMBRI, “Il diritto dell’energia”, Trattato di diritto dell’economia, p. 668

 

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