Conciliazioni in sede sindacale: il vizio del “silenzio malizioso”

Business associates shaking hands in officeIl silenzio del datore di lavoro in merito a circostanze rilevanti per il lavoratore che si appresta a sottoscrivere un verbale di conciliazione in sede sindacale, integra gli estremi del dolo omissivo che può determinare l’annullamento dell’accordo raggiunto tra le parti.

IL FATTO: 

Con la sentenza n. 8260 del 30 marzo 2017, la Corte di Cassazione ha messo in discussione la validità di un accordo sottoscritto in sede sindacale tra datore di lavoro e lavoratore nell’ambito di una procedura di mobilità, poiché il primo avrebbe omesso dolosamente di informare il proprio dipendente in merito a determinate circostanze, la cui conoscenza avrebbe potuto indurre quest’ultimo a non firmare il verbale di conciliazione.

Il caso è il seguente: nell’ambito di una procedura di mobilità, una società aveva inserito, tra le posizioni in esubero, quella di un quadro con mansioni di Strategie Sourcing Senior Mnager. Dopo il licenziamento, fondato sulla soppressione della suddetta posizione lavorativa, le parti avevano sottoscritto un verbale di conciliazione in sede sindacale.

Il lavoratore ha impugnato il verbale dopo aver scoperto che, a seguito del suo licenziamento, la società aveva assunto un’altra persona per ricoprire il medesimo ruolo, sostenendo che non si fosse, in realtà, proceduto ad alcuna soppressione della posizione.

La Suprema Corte ha ritenuto che la condotta omissiva di una parte in ordine a circostanze di interesse della controparte, inserendosi in un comportamento complessivo preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno (determinando l’errore dell’altra parte), integra gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c.

Occorre anche tenere presente – ha aggiunto la Corte – che in tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, gli artifizi ed i raggiri, così come la reticenza o il silenzio, debbano essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilirne l’idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza.

La Corte di Cassazione ha, quindi, rinviato alla Corte di Appello affinché quest’ultima accerti, alla luce dei suddetti principi di diritto, l’idoneità della condotta della società datrice ad integrare un dolo omissivo in danno del proprio dipendente, così da comportare l’annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE:

La sentenza della Corte di Cassazione non introduce nulla di nuovo sul dolo quale vizio del consenso, idoneo a determinare l’annullamento del contratto (ex art. 1439 c.c.), ma apre la strada verso un’interpretazione molto estensiva del concetto di “silenzio malizioso”, lasciando ampia discrezionalità ai giudici di merito di determinarne il contenuto.

La Corte, infatti, si è limitata a enunciare i principi di diritto in materia, senza fare alcun riferimento alle concrete circostanze e situazioni che possono integrare le ipotesi dell’omissione dolosa.

Il rischio è che le prassi aziendali – ampiamente diffuse – di transigere le controversie, pendenti o potenziali, con i propri dipendenti, possano essere vanificate da successive pronunce giudiziali di annullamento dei verbali sottoscritti, a causa della mancata informazione fornita al lavoratore su circostanze ritenute rilevanti da quest’ultimo.

La discrezionalità lasciata ai giudici in merito alla determinazione della rilevanza o meno delle notizie omesse, potrebbe incidere negativamente sulle suddette prassi, inducendo le aziende a vagliare con maggior attenzione la possibilità di sottoscrivere un verbale di conciliazione “tombale” a fronte del pagamento di somme, anche ingenti, di denaro.

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