Privacy: no all’obbligo di conservazione massiva dei dati

Computer crime conceptCon sentenza depositata il 21 dicembre 2016 nelle cause riunite C-203/15 e C-698/15, la Corte di giustizia dell’Unione europea prende posizione in tema di acquisizione e conservazione di dati da parte di fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche, sancendo che la conservazione generalizzata e indifferenziata degli stessi è da considerarsi incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

IL FATTO:

Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia da risposta alle questioni proposte, dalla Corte di Appello di Stoccolma e dai giudici di secondo grado inglesi, concernenti la legittimità delle rispettive normative nazionali in materia di conservazione dei dati personali, alla luce della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.

Le controversie che hanno portato i giudici nazionali a rivolgersi a Lussemburgo, in particolare, vertevano sull’obbligo generale imposto, in Svezia e nel Regno Unito, ai fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche, di conservare, indiscriminatamente, tutti i dati relativi a dette comunicazioni.

Gli eurogiudici, sostanzialmente, confermano quanto già fermamente sancito nella sentenza dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12, con la quale avevano dichiarato l’invalidità della direttiva 2006/24/CE (riguardante la conservazione di dati generali o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE). La menzionata direttiva, ritenuta illegittima, prevedeva un obbligo di conservazione dei dati non limitato allo stretto necessario, e ciò era stato ritenuto eccessivamente lesivo dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali.

Con la più recente sentenza del dicembre 2016, la Corte di giustizia, innanzitutto, ribadisce il primario obbligo, per gli operatori del settore, di garantire la riservatezza delle comunicazioni.

In seconda battuta, sancisce l’illegittimità di quegli ordinamenti nazionali che impongono ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di conservare, “in maniera sistematica e continua, e ciò senza alcuna eccezione“, i dati raccolti e che consentono l’accesso agli stessi, da parte delle autorità nazionali, senza limitazione esplicita alla finalità di lotta contro la criminalità grave e senza la previsione di un preventivo controllo da parte dei giudici o dell’autorità indipendente competente.

Se è vero, infatti, che la direttiva di riferimento ammette delle deroghe al principio di riservatezza delle comunicazioni e dei dati ad esse relative, come misura “necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica“, è altresì vero che dette deroghe non possono e non devono diventare la regola.

Questo perché i dati raccolti sono tali da permettere di ricavare conclusioni precise sulla vita privata delle persone: tale grave ingerenza nella sfera personale, pertanto,  deve essere giustificata da rilevanti e specifiche motivazioni.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

La pronuncia appare di notevole interesse poiché, con la stessa, la Corte di Giustizia autorevolmente indica i confini entro i quali deve considerarsi legittima, ai sensi nella normativa europea, la conservazione dei dati, relativi al traffico e all’ubicazione, acquisiti da fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche.

In particolare, la Corte sancisce che le legislazioni degli stati membri possono imporre la conservazione dei dati acquisiti, a discapito del principio di riservatezza, solamente per fini di lotta alla criminalità grave, pur nel rispetto, anche in questo caso, del principio di proporzionalità.

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