Penale eccessiva: irrilevanti le difficoltà economiche del creditore

Wooden Law GavelCon la sentenza n. 10374 del 27 aprile 2017, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di esercizio del potere di riduzione equitativa della clausola penale ai sensi dell’art. 1384 c.c., stabilendo che in tale ambito il giudice di merito debba tenere in considerazione ai fini della valutazione di un eventuale interesse prevalente del creditore all’adempimento unicamente quegli elementi che possano effettivamente incidere sul contenuto o la modalità esecutiva della prestazione non adempiuta dal debitore e che siano tali da modificare l’interesse del creditore a riceverla.

IL FATTO:

Nel luglio del 2008 veniva stipulato tra due società un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile di proprietà di una delle due aziende. Contestualmente alla conclusione del preliminare, l’immobile in questione veniva concesso in comodato ad una terza società, alla quale la promissaria acquirente aveva intenzione di locarlo una volta ottenutane la proprietà. Con la società comodataria veniva stabilito come termine improrogabile per la restituzione del bene la stessa data fissata per la stipulazione del contratto definitivo di vendita alla presenza del notaio, prevedendo altresì, oltre ad un deposito cauzionale di ammontare complessivo pari ad euro 420.000, una penale di euro 1.000 per ogni giorno di ritardo nel rilascio.

In assenza di sottoscrizione del contratto definitivo, non essendo stato restituito l’immobile alla data prefissata, la società proprietaria agiva in giudizio contro la comodataria, la quale veniva condannata dal Tribunale di Firenze al rilascio del fabbricato nonché, in solido con la promissaria acquirente (che si era offerta da garante), al pagamento della somma dovuta a titolo di penale giornaliera, dalla data di consegna sino alla riconsegna del bene. In sede di appello, i giudici avevano tuttavia ritenuto la penale giornaliera sproporzionata sia in relazione al prezzo della compravendita che al valore locativo, riducendola ad euro 200.

La questione è stata portata all’attenzione della Suprema Corte dalla proprietaria dell’immobile, la quale ricorreva avverso la sentenza d’appello lamentando la violazione dell’art. 1384 c.c., non avendo i giudici dell’impugnazione considerato che tra il preliminare di compravendita ed il contratto di comodato sussisteva un nesso di strumentalità che giustificava l’importo originariamente fissato per la penale. In particolare, la Corte d’Appello aveva asseritamente omesso di considerare l’interesse della società proprietaria “di rientrare, in caso di mancata stipula del rogito, quanto prima nel possesso dell’immobile per procedere ad ulteriori vendite, per soddisfare i creditori” trattandosi di azienda in concordato preventivo.

La Corte di Cassazione, dopo aver ricordato che l’apprezzamento in ordine all’eccessività dell’importo della clausola penale ed alla misura della riduzione di tale importo è riservato al giudice di merito, risultando pertanto incensurabile in sede di legittimità “se correttamente fondato […] sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento”, ha colto l’occasione per sottolineare che se da un lato appare utile dare rilievo nell’esercizio del potere di cui all’art. 1384 c.c. agli eventuali elementi sopravvenuti, “non limitandosi […] ad una considerazione statica del rapporto” tra creditore e debitore, dall’altro tali elementi potranno in concreto influenzare la valutazione dell’organo giudicante solo qualora incidano sui parametri economici oggettivi dell’interesse del creditore all’adempimento, quali, per l’appunto, il valore patrimoniale dell’immobile o il reddito da esso retraibile in caso di locazione dello stesso.

Nel caso di specie era pertanto fondata la decisione di riduzione emanata dalla Corte di Appello, non risultando sufficiente a giustificare l’imposizione di una penale così elevata l’interesse della proprietaria ad un quanto più celere rilascio dell’immobile a causa della propria non florida situazione economica. La Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso formulato dalla società titolare del fabbricato, dichiarandolo infondato e rilevando inoltre la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato per processo inutile e costoso.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

La pronuncia in commento è degna di considerazione in quanto la Suprema Corte approfitta di ricorso palesemente infondato per soffermarsi sul tema dell’esercizio da parte del giudice di riduzione equitativa della clausola penale ex art. 1384 c.c., ed in particolare sottolineando che la possibilità di tenere in considerazione ai fini della decisione (o meno) di riduzione di fatti nuovi e sopravvenuti rispetto al rapporto originario che si era formato tra le parti al momento della stipulazione della penale nell’ambito deve essere tassativamente limitata a quegli eventi che possano incidere da un punto di vista oggettivo sull’interesse del creditore all’adempimento della prestazione.

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