Nuove misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro

Jobs Act. Approvata la parziale riforma del T.U. sulla tutela della maternità (d. lgs. n. 151/01). Introdotte misure volte a garantire e tutelare la genitorialità, favorendo occasioni di conciliazione dei tempi di vita e lavoro per la generalità dei lavoratori.

IL FATTO:

Il d.lgs. 15 giugno 2015 n. 80, attuativo dell’ art. 1, co. 8 e 9, della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, introduce specifiche modifiche ed integrazioni ad alcune norme del Testo Unico a sostegno della maternità e paternità (d. lgs. n.151/2001).

Tale intervento normativo, seppur parziale, ha introdotto tutele ulteriori volte ad agevolare la cura dei figli da parte di genitori che lavorano.

La modifica sicuramente più rilevante è quella relativa alla possibilità di fruire del periodo di congedo parentale di 6 mesi (c.d. astensione facoltativa), dopo l’astensione obbligatoria, anche con “modalità oraria”.

All’art. 32 del d. lgs. n. 151/2001, infatti, è stato introdotto il comma 1 ter, che prevede – salva diversa regolamentazione della contrattazione collettiva, anche aziendale – la possibilità, per ciascun genitore, di scegliere tra la fruizione giornaliera del congedo e quella oraria.

In quest’ultimo caso, la fruizione è consentita in misura pari al 50% dell’orario medio giornaliero in essere prima del congedo, ed è esclusa la cumulabilità con permessi o riposi pure previsti dal T.U. (per es. i riposi giornalieri di 2 ore, entro l’anno di vita del bambino).

In altre parole, è stata introdotta – di fatto – una forma di “part time post partum”, da tempo richiesto come strumento per rendere più agevole la cura del figlio appena nato. In questo modo, infatti, i 6 mesi possono diventare 12, ma ad orario ridotto.

È, ovviamente, previsto un obbligo di preavviso al datore di lavoro (seppur breve 5 gg. se su base giornaliera e di 2 gg. se su base oraria), salvo casi di oggettiva impossibilità, e comunque fatta salva una diversa regolamentazione della contrattazione collettiva.

Altra facoltà utile è la prevista sospensione del congedo in caso di ricovero del neonato in struttura pubblica o privata. In questo caso, se la madre non può accudire il figlio, può lavorare e mantenere integro il periodo di congedo c.d. obbligatorio.

Ampliati, poi, i tempi entro cui fruire dei congedi:

  • il periodo facoltativo di 6 mesi (ex 32 TU) entro i 12 (anziché gli odierni 8) anni del bambino;
  • il congedo straordinario di 3 anni (comprensivi del periodo di c.d. astensione facoltativa e con indennità INPS) per i genitori di minori con handicap grave (ex 33 TU) entro i 12 (anziché gli odierni 8) anni del bambino.

Esteso anche il trattamento economico garantito nel corso del congedo facoltativo sino ai 6 (invece che gli attuali 3) anni del bambino, ovvero 8 anni per il figlio con handicap.

Tutti questi diritti vengono riconosciuti anche nel caso di adozione o affidamento (art. 36 TU).

Viene, altresì, modificata l’estensione temporale del divieto di adibire la lavoratrice madre al lavoro notturno (ex art. 53 TU), detto divieto è ora innalzato sino ai 3 anni del bambino (non più al compimento dell’anno del figlio) e con riferimento a tutte le donne lavoratrici.

Sono state estese le tutele che prevedendo il diritto ai 5 mesi di astensione anche ai casi di adozione nazionale o internazionale ed anche alle lavoratrici autonome, iscritte alla gestione separata INPS (L. n. 335/1995, art. 2, co. 26), eliminando una lacuna normativa foriera di inammissibile discriminazione del nostro sistema di tutela della genitorialità.

Il nuovo decreto ha, inoltre, equiparato la posizione del padre a quella della madre, estendendo anche al padre tutte le tutele previste in caso di morte o grave infermità della madre, ovvero nel caso di abbandono del minore. E ciò per ogni tipo di attività, anche autonoma e libero professionale, sia della madre, che del padre, semplificando anche alcuni adempimenti, mediante lo strumento dell’autocertificazione.

Vengono introdotte, infine, due disposizioni specifiche in tema di telelavoro ed in favore delle donne vittime di violenze di genere.

È, infatti, previsto che, ove il telelavoro sia concesso al lavoratore per ragioni di cure parentali, in base a previsioni di accordi collettivi, detto telelavoratore non si computa ad alcun fine di legge o di contratto.

Infine, nei casi di percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, la dipendente e la collaboratrice autonoma ha diritto di astenersi dal lavoro per 3 mesi, con il decorso della normale retribuzione.

Il diritto è esercitabile – su base oraria o giornaliera – nell’arco di 3 anni e la dipendente ha diritto alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a parziale, verticale o orizzontale, nonché a tornare a tempo pieno, su sua richiesta.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE:

Il pregio dell’intento normativo sotteso al d. lgs. n. 80/15 risiede nella volontà di individuare strumenti per la conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze familiari, per il rilancio dei settori delle politiche sociali e dell’occupazione femminile.

Rispetto al passato, dove questo tema era considerato solo una “questione di donne”, ritenendo l’aspetto economico l’unico motore della produttività aziendale, oggi si guarda alla conciliazione vita/lavoro da una diversa prospettiva, certamente trasversale e orientata al benessere organizzativo e dunque produttivo.

Non può non segnalarsi un notevole passo in avanti – verso l’uguaglianza della filiazione – nella totale equiparazione dei genitori naturali a quelli adottivi e affidatari, così come è di rilievo l’intento di garantire una più equa distribuzione dei carichi familiari, attribuendo ai padri lavoratori sia dipendenti che autonomi e liberi professionisti, il diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata – o per la parte residua del congedo di maternità – nei casi in cui la madre lavoratrice, anche lavoratrice autonoma, sia deceduta, sia gravemente inferma, ovvero in caso di abbandono o di affidamento esclusivo del figlio al padre.

L’importanza di tale intervento normativo, risiede inoltre nella previsione di misure in favore delle donne lavoratrici, vittime di violenza di genere, mediante le quali si assicura (concretamente) alle donne inserite in percorsi di protezione – debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dai Centri antiviolenza – un sostegno economico derivante dal proprio lavoro, che le consenta di affrontare il non facile percorso di reazione alla violenza di genere subita.

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