Garante privacy: no al diritto all’oblio in caso di reati gravi

privacy-2Con il Provvedimento n. 400 del 6 ottobre 2016, il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto in materia di diritto all’oblio, affermando che, in caso di vicende giudiziarie di particolare gravità definite con sentenza passata in giudicato, l’interesse pubblico a conoscere le notizie prevale sul diritto alla riservatezza dell’individuo.

IL FATTO:

La questione è stata portata all’attenzione del Garante per la privacy da un ex consigliere comunale, coinvolto nel 2006 in una maxi inchiesta sulla corruzione a danno della sanità regionale e condannato nel 2012 con sentenza in sede di patteggiamento e pena interamente coperta da indulto, il quale chiedeva a Google la deindicizzazione di una serie di Url legati ad alcuni articoli relativi alla succitata vicenda che risultavano digitando gli estremi del ricorrente sul noto motore di ricerca, poiché questi gli arrecavano grave danno all’immagine, alla vita privata e all’attuale attività lavorativa.

A sostegno della propria posizione, il ricorrente sosteneva da un lato che la vicenda dovesse oramai ritenersi risalente nel tempo, essendo trascorsi quasi dieci anni, e dall’altro che, avendo egli abbandonato, prima della definizione del giudizio, ogni pubblico incarico, non sussistesse più alcun interesse del pubblico alla conoscenza della notizia.

Dichiarando infondato il ricorso dell’imprenditore, il Garante per la protezione dei dati personali ha stabilito, anche sulla base delle Linee Guida adottate il 26 novembre 2014 dal Gruppo di lavoro “Articolo 29” (WP 225), che, essendo stato il ricorrente condannato per “crimini di particolare gravità, posto che si riferiscono al coinvolgimento del ricorrente, in associazione delittuosa con altri e con ruolo non da comprimario, in reati contro la Pubblica amministrazione, quali la corruzione e la truffa, perpetrati a danno della sanità regionale negli anni 2004-2006, mediante l’illecita sottrazione di ingenti risorse finanziarie pubbliche”, nel caso di specie deve ritenersi “prevalente l’interesse del pubblico ad accedere alle notizie in questione”, a maggior ragione considerando “il breve lasso di tempo (circa 4 anni) trascorso” dalla definizione giudiziaria della vicenda.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

L’Autorità, accogliendo i principi stabiliti dai garanti europei a seguito della ben nota sentenza C-131/12 della Corte di Giustizia Europea, c.d. Google Spain, fa dunque presente che, sebbene il trascorrere del tempo costituisca la componente essenziale del diritto all’oblio, il semplice fattore cronologico debba trovare un limite nel caso in cui le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi e/o che destino un forte allarme sociale, con la conseguenza che, in casi simili, le richieste formulate dai ricorrenti dovranno essere valutate con minor favore.

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