Orario di lavoro a fini contributivi.

L’orario di lavoro, assoggettato alla contribuzione, include non solo il tempo dedicato all’attività lavorativa in senso stretto, ma anche quello necessario alle operazioni strettamente necessarie alla prestazione.

IL FATTO:

Con la sentenza n. 12097 del 16 maggio 2017, la Corte di Cassazione ha stabilito che deve essere assoggettato a contribuzione anche il tempo che attiene alle attività necessarie e obbligatorie ai fini dello svolgimento della prestazione lavorativa, quali il tempo trascorso per il raggiungimento del luogo di lavoro dopo la timbratura del cartellino marcatempo e quello trascorso in azienda dopo la fine del turno.

La vicenda è scaturita da un accertamento ispettivo a seguito del quale l’INPS ha richiesto il pagamento di contribuzione relativa ad ore di lavoro straordinario non registrate, svolte da vari dipendenti impiegati presso uno stabilimento siderurgico.

Nell’elaborare il suddetto principio, la Corte è partita dal dettato normativo: in base alla normativa vigente sino al 28 aprile 2003 (r.d.l. 5 marzo 1923, n. 692), doveva considerarsi lavoro effettivo quello che richiede un’applicazione assidua e continuativa,  escludendo da tale ambito occupazioni discontinue o di semplice attesa o custodia, stabilendo che queste ultime occupazioni potevano pertanto superare i limiti massimi temporali fissati dalla legge.

Successivamente, il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 ha attribuito rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza nel luogo di lavoro, stabilendo che per orario di lavoro debba intendersi qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro, includendo nella nozione non solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma anche le operazioni strettamente funzionali alla prestazione. Tali periodi andranno quindi sommati al normale orario di lavoro come straordinario.

A questo fine è necessario che il lavoratore sia “a disposizione” del datore di lavoro, cioè soggetto al suo potere direttivo e disciplinare.

Quanto all’onere probatorio, la Corte ha affermato che l’ente previdenziale deve provare che il lavoratore abbia ricevuto dal datore di lavoro somme a qualunque titolo, purché in dipendenza del rapporto lavorativo, mentre è onere del datore di lavoro provare una delle cause di esclusione dell’obbligo contributivo.

In sostanza, poiché il diritto alla retribuzione sorge per il solo fatto della messa a disposizione delle energie lavorative, la semplice presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza, in capo al datore di lavoro, del potere di disporre della prestazione lavorativa.

Di conseguenza, è orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso all’interno dell’azienda, salvo che il datore di lavoro non provi che il prestatore d’opera sia libero di autodeterminarsi ovvero non sia assoggettato al potere gerarchico.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE:

Nella gestione complessiva dei rapporti di lavoro, l’orario di lavoro è senza dubbio un aspetto particolarmente delicato, su cui anche i sindacati fanno spesso sentire la loro voce.

Alla luce della recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la nozione volutamente ampia di orario di lavoro aprirà un inevitabile dibattito sui contenuti da includervi, su cui la giurisprudenza giocherà un ruolo fondamentale.

Sarebbe auspicabile anche un intervento della contrattazione collettiva, al fine di definire per quanto possibile i confini di tale nozione.

Il rischio per le aziende è quello di esser tenute a retribuire ore di lavoro straordinario (con relativa contribuzione) per i periodi di tempo che il dipendente trascorre all’interno dell’azienda non per lo svolgimento dell’attività lavorativa in senso stretto.

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