Accesso non autorizzato alla casella di posta elettronica: è reato

ThinkstockPhotos-466487479Con la sentenza n. 13057/2016, depositata il 31 marzo 2016, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di inviolabilità della casella di posta elettronica, confermando, in caso di accesso abusivo da parte di un terzo, la configurazione del reato previsto dall’art. 615 ter del codice penale, rubricato “accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”.

IL FATTO:

Nel caso di specie l’imputato, responsabile dell’ufficio di polizia provinciale, aveva approfittato dell’assenza di un sottoposto per accedere alla casella di posta elettronica di quest’ultimo senza il suo consenso, avvalendosi di una password “generale” per aggirare la protezione della casella garantita dalla prevista necessità di inserire le specifiche credenziali dell’utente, al fine di poterne visualizzare il contenuto.

Proprio con riferimento alla casella di posta elettronica, dopo aver ribadito come questa rappresenti “inequivocabilmente” un sistema informatico rilevante ai sensi dell’art. 615 ter c.p., la Suprema Corte si è spinta oltre, affermando che “la “casella di posta” non è altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio. E l’accesso a questo “spazio di memoria” concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacché la casella non è altro che una porzione della complessa apparecchiatura – fisica e astratta destinata alla memorizzazione delle informazioni”.

Ne deriva che, qualora la casella di posta elettronica risulti protetta – come nel caso in analisi – mediante l’apposizione di una password, emerge in maniera incontrovertibile la volontà dell’utente di escludere l’accesso di soggetti terzi, creando uno spazio a sé riservato, con la conseguenza che “ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all’art. 615 ter c.p.”.

La Corte di Cassazione, confermata l’aggravante dell’abuso di relazioni d’ufficio a carico dell’imputato richiamandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, né l’attualità dell’esercizio della funzione o del servizio, ma è configurabile anche quando il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, essendo sufficiente che la sua qualità abbia reso possibile o comunque facilitato la commissione del reato”, coglie infine l’occasione per affermare la prevalenza del diritto alla riservatezza del dipendente nei confronti di qualunque altro soggetto, compreso il superiore gerarchico: l’accesso abusivo alla casella di posta elettronica insomma, da chiunque venga posto in essere, integra il reato di cui all’art. 615 ter c.p.

PERCHÉ È IMPORTANTE:

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte rigetta in toto la tesi sostenuta dalla difesa dell’imputato, che equiparava la casella di posta elettronica alla “cassetta delle lettere” collocata nei pressi dell’abitazione: mentre quest’ultima altro non rappresenta che un mero “contenitore fisico di elementi (cartacei e non) solo indirettamente riferibili alla persona”, la casella di posta elettronica costituisce “un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’art. 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615” (Relazione al disegno di L. n. 2773, tradottosi poi nella L. 23 dicembre 1993, n. 547).

Ed è proprio alla luce di quanto sopra riportato che gli Ermellini riconoscono in capo al titolare della casella di posta elettronica un vero e proprio ius excludendi, tutelandone il diritto alla riservatezza nei confronti di accessi non autorizzati da parte dei terzi.

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